“L’OSSERVATORE SPIATO”
RIVISTA OCCASIONALE IN RETE
XV Aprile
“A tre anni esatti dalla pubblicazione dei contenuti di un sito web che
non si può definire né una rivista né tantomeno un quotidiano, in
quanto non avendo un deposito legale nemmeno dovrebbe avere
valore sociale, ma che si auto assurge a titolo di rivista occasionale in
rete con l’altisonante nome “L’osservatore spiato” ci si chiede in
realtà che cosa dunque sarebbe, a che cosa dovrebbe servire e che
cosa rappresenterebbe nel mondo del giornalismo, visto che a quanto
pare non fa altro che demonizzare l’intero sistema tous cours.
Se questa non è disinformazione ditemelo voi cos’è, oppure chiedete
chiarimenti alla Biblioteca Centrale di Roma o di Firenze”.
Oltre a questi ipotetici interrogativi posti da un immaginario
giornalista, me le sono fatte anch’io domande simili e, sia per coerenza
che per onestà intellettuale, non ho potuto fare a meno di rispondere
che si, è un sito web, che è indipendente e che pubblica soltanto
ciò che vede in base a ciò che da altri viene pubblicato, sapendo che
ogni riflessione o pensiero scritto in merito a qualsiasi tematica
serve per essere archiviato, catalogato e usato in via convenzionale
esclusivamente per scopi pubblicitari – fermo restando che per
convenzionale s’intendesse riuscire, grazie all’operato del pubblico
impiego, a migliorare la navigazione in Rete degli utenti, ad offrire
loro contenuti personalizzati, ad elaborare statistiche e, in sostanza,
a garantire quella pubblicità congrua e mirata al fine di aggiornare
costantemente le loro preferenze, sia chiaro. Al di là di questa
ironica considerazione, l’utilità di questo sito web può forse essere
quella di ricordare banalità inconcepibili, mentre al tempo stesso –
tanto per evocarne una – i guru del marketing 3.0 sono soliti usare
delle tecniche basate sulle neuroscienze per cesellare con precisione
assoluta (senza ormai più alcun margine di errore) le strategie più
consone per vendere tutto quello che intendono vendere dichiarando
al mondo intero che le frontiere della comunicazione non possono
evitare di passare attraverso le parole di un “nuovo umanesimo” da
loro stessi propinato. Del resto, convincere l’opinione pubblica che la
sempre più crescente concessione spontanea di dati sensibili che ha
consentito agli autori più disparati di creare a ragion veduta dei
contenuti di ogni genere, monetizzandoli anche, ha permesso a chi li ha
archiviati, usati e catalogati di essere ormai in grado di conoscere
l’utente meglio di se stesso.
Comunque, malgrado tutti quegli incalcolabili abusi di potere che
continuano a perpetrarsi ovunque e ad ogni istante con lo stesso
infame e rigoroso metodo, nonostante tutte le infinite ingiustizie,
e sebbene la reciproca collaborazione tra i popoli per cercare in
qualche modo di migliorare le condizioni di vita di tutti sia ancora
molto distante dall’essere interpretata nel suo significato più
profondo, penso ancora che il mondo in cui viviamo possa ancora
diventare un luogo dove vale la pena vivere, lo penso per coerenza.
Così come per coerenza penso che questo sito web nulla debba
rappresentare, sia nel mondo del giornalismo che in quello politico :
nel primo perché, essendo indipendente a tutti gli effetti, nessuno si
riconoscerebbe, mentre nel secondo perché, avendo come principio
fondante una componente anarchica, continuerebbe a rimanere una
minoranza anche se un giorno tutti ammettessero all’unisono il
fallimento totale del susseguirsi dei governi eletti democraticamente.
Oggi è un giorno di festa, una festa molto importante per la Libertà.
La Libertà non è di destra, di quella destra che non tollera lo straniero
per paura di un’invasione incontrollabile causata dalla naturale
conseguenza di un’ingiustificata colonizzazione guidata da regimi di
chiaro stampo nazionalista, così come non è e non appartiene a quella
sinistra che ogni volta che una simile ricorrenza ritorna sul
calendario pensa solo a rivendicarla, strumentalizzandola.
La Libertà è un valore universale, che va tutelato sempre, ad ogni
costo, contro qualsiasi abuso di potere. L’11 Aprile scorso a Londra è
stato arrestato nell’ambasciata dell’Ecuador dopo circa sette anni di
asilo politico e dopo che il governo di Quito ha revocato la sua
concessione ad averne ancora diritto il fondatore di Wiki Leaks,
Julien Assange. Premesso che il fatto di dichiarare pubblicamente
che – come hanno detto in molti, a partire dal Ministro dell’Interno
britannico Sajid Javid per finire con l’attuale Primo Ministro Theresa
May “nel Regno Unito nessuno può considerarsi al di sopra della
legge” – voglia dire che fino a prova contraria nemmeno chi fa simili
dichiarazioni dovrebbe esserlo e che pertanto, qualora la fondatezza
di informazioni riservate come quelle rivelate da WikiLeaks
risultasse non soltanto vera, ma anche come contestualmente
estendibile alle democrazie vigenti in molti altri Paesi non coinvolti
in modo diretto in certi scandali, l’accusa di aver creato una base di
spionaggio all’interno dell’ambasciata ecuadoregna (mossa dall’attuale
Presidente dell’Ecuador Moreno nei confronti di Assange) dovrebbe
poter essere tempestivamente smentita da un giornale di Stato, se lo
Stato in questione nulla avesse da nascondere, beninteso. Quando poi
la sola cosa che conta sembrerebbe essere di provare che non siano
stati trafugati dei dati sensibili dagli archivi di Stato senza curarsi
minimamente del fatto di spiegare all’opinione pubblica le motivazioni
di tale illecito tentativo, allora diventa davvero difficile per le
istituzioni riuscire a mantenere quell’aurea di credibilità che da
sempre ha consentito di governare. Premesso questo quindi, l’arresto
di Assange è forse l’istantanea più nitida che può dimostrare, in un
momento storico come quello che stiamo attraversando, come e
perché la libertà di stampa in fondo non sia mai esistita, in termini di
immagini il video di quando viene prelevato con la forza dall’ambasciata
per essere trasferito negli uffici di Scotland Yard per gli
interrogatori spiega più di tanti articoli inerenti l’argomento perché
anche il mondo dell’informazione non è più credibile. Se fosse vero che
l’attivista australiano non è un giornalista, così come WikiLeaks non è
una testata giornalistica (questo detto dalla maggior parte della
stampa internazionale) perché per sopravvivere il giornalismo
avrebbe dovuto cambiare il modo di informare l’opinione pubblica
rimettendo in discussione i rapporti di qualunque giornalista con le
proprie fonti? Perché la stragrande maggioranza dei giornalisti
(per non dire la quasi totalità) non ha manifestato il proprio sdegno
per il fermo di Julien Assange? Se qualcuno – e per provocazione lo si
potrebbe facilmente intuire – avesse scritto o dichiarato, o magari
avesse anche solo disegnato una vignetta satirica il cui senso si
riassumesse nell’assenza di giornalisti in piazza vestiti con una t-shirt
con su scritto “Je suis Julien”, come avrebbero reagito i maggiori
network internazionali? Quali altri paragoni denigratori nei confronti
di quel qualcuno sarebbero riusciti a usare, che non è possibile
pensare di fare simili parallelismi con delle stragi come quelle
avvenute nella sede di una nota rivista satirica francese e che quindi
nemmeno dovrebbero considerarsi delle notizie? Perché subito dopo
il devastante incendio che ha distrutto la più bella e famosa
cattedrale al mondo, la stessa rivista satirica francese avrebbe
pubblicato una vignetta (questa volta non macabra, come qualcuno
si è pure permesso di dire, anche perché non c’è stata alcuna vittima)
in cui viene palesata l’allusione al fallimentare operato del Presidente
Macron, se non per inasprire la polemica con i gilet jaunes
alimentando così un altro genere di fuoco destinato a non estinguersi
mai? Tanto per cominciare, per cercare di rispondere in modo
sommario, il giornalismo non è morto, per fortuna, è soltanto minato
nella sua deontologia da operatori poco attendibili, i quali hanno tutto
l’interesse a non far passare l’arresto di Assange come uno dei più
gravi attentati alla libertà di stampa e di informazione mettendosi
allo stesso livello di quei politici che per “trasparenza” dichiarano che
chiunque violi un sistema di informazioni riservate di uno Stato non
può considerarsi al di sopra della legge e che quindi dovrebbe essere
punito anche nel caso in cui le informazioni divulgate fossero vere (…)
poi, per quanto invece riguarda il ruolo che oggi hanno le riviste
satiriche nel mondo è impossibile continuare a fingere che sia
marginale, proprio perché non c’è solo la politica di mezzo (…)
l’ennesima e orribile strage avvenuta in Sri Lanka il giorno di Pasqua
è stata rivendicata dal sedicente Stato islamico e non ha nulla a che
vedere con tali riviste, sia detto per inciso, ma quando si parla di
religione, o meglio, quando si irridono determinati simboli o pratiche
cultuali che fanno capo a religioni diverse da quelle professate non da
da chi le irride ma da chi dovrebbe vergognarsi a professarle per i
comportamenti dimostrati, s’innesca qualcosa di molto pericoloso
nelle teste di chi viene irriso, qualcosa che dovrebbe far riflettere
quanto meno sul significato della parola responsabilità invece di
continuare “per coerenza” a fingere di demonizzare un operato
politico esclusivamente per dimostrare di essere di colpo diventati
degli adepti di un imperante quanto inutile sovranismo. Che cosa
cambierebbe dopo le elezioni europee di fine Maggio se ci fosse una
schiacciante vittoria dei sovranisti e che cosa cambierebbe invece se
a vincere fossero gli unionisti, è una domanda che non dovrebbe
nemmeno più essere posta, anzi, che dovrebbe essere addirittura
sanzionata qualora fosse ancora posta in pubblico a prescindere sia
dalla sede che dal contesto talmente è intrisa di retorica, eppure,
entro il 26 del prossimo mese diventerà la domanda delle domande per
la maggior parte dei giornalisti, che siano tedeschi, francesi, italiani
e via discorrendo. Ora, che questo Paese – nonostante i suoi
caduti morti in battaglia per difendere un valore come la Libertà, la
cui ricorrenza viene oggi ricordata – sia una Repubblica fondata sulle
raccomandazioni invece che sull’articolo 1 della nostra Costituzione,
lo sanno tutti, non è un mistero, mentre al contrario (chissà perché)
i gradi di giudizio relativi al percorso legislativo che uno Stato
avrebbe il dovere di compiere nei confronti dei mandanti delle stragi
e degli attentati che hanno insanguinato le strade e le piazze nazionali
sono sempre stati avvolti da un velo di opacità, costringendo in tal
modo i mandanti di quelle stragi e di quegli attentati ad avere pure il
coraggio di farsi vedere pubblicamente, giorno dopo giorno, brindando
senza alcuna vergogna a questo piuttosto che a quel successo
elettorale, sbeffeggiando e calunniando l’accusa di turno
rappresentata o da qualche integerrimo magistrato o proprio da
qualche impavido giornalista – come se quel velo di opacità nulla
avesse a che vedere con la negazione del suddetto mistero, come se
nulla fosse mai successo.