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Testardi si nasce non si diventa

“L’OSSERVATORE SPIATO”
RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

Testardi si nasce non si diventa

A proposito dell’indecenza mediatica, ovvero di quel concetto acquisito
nell’era dell’immagine secondo cui chi è in grado di pensare al proprio
sostentamento economico grazie alla reputazione che si crea costantemente
non facendo altro che partecipare alla spettacolarizzazione di
genere (senza riuscire a confutare nulla eccetto che continuare a
dimostrare il nulla più assoluto) – un’era voluta con forza da i garanti
del conflitto d’interesse che speculano sull’industria dell’immagine e
sul relativo indotto che produce facendo purtroppo degenerare il
livello di professionalità insito nei lavori socialmente utili – il fatto di
metterla sul catastrofismo equivale a dire o di non avere quella
consapevolezza necessaria a comprendere che le future professioni
non potranno che adattarsi e formarsi in base alle esigenze nate
da quella speculazione, oppure, peggio ancora, di averla e nonostante
ciò di ostinarsi a perseguire risultati fini a se stessi a scapito della
collettività. Ricordare che la maggioranza della collettività è formata
(almeno per ora) da persone che svolgono un lavoro che nulla ha a che
vedere con il mondo dello spettacolo – anche se su questo punto si
dovrebbe iniziare un altro approfondimento – non è banale (mentre in
realtà parrebbe proprio di si) è invece indispensabile, naturalmente
se si pensasse al lavoro come a un’attività che serve a offrire un
servizio sociale, utile a un pubblico che ha bisogno di curarsi così come
di essere assistito legalmente e via discorrendo, è indispensabile
primo perché se i vertici istituzionali non prendessero gli opportuni
provvedimenti (non soltanto per epurare trasmissioni televisive, la
recente presa di posizione di Freccero è opinabile, ma resta utile,
tant’è che i maggiori quotidiani nazionali lo hanno già paragonato a un
editto, di tutt’altra natura, ma anche per sanzionare chi beneficia
oltremisura dei proventi ricavati dalla messa in onda di trasmissioni
il cui inutile o quanto meno discutibile contenuto favorisce l’origine
del conflitto d’interesse) gli utenti continuerebbero tra virgolette a
essere costretti a guardare cose che interessano solo a chi non ha
voglia di lavorare e di mettersi al servizio del prossimo sapendo di
aver trovato il migliore degli espedienti per evitare di fare dei
mestieri anche umili ma di pubblica utilità, e secondo perché il rischio
di un calo vertiginoso delle competenze che servono per svolgere
quei lavori socialmente utili è diventata un’emergenza. Ma chi sono,
o meglio, chi sarebbero stati (per non dire chi saranno) i maggiori
responsabili di questa emergenza, i vari direttori RAI nominati negli
ultimi trent’anni da i più diversi esecutivi che si sono susseguiti,
oppure i membri della commissione di vigilanza che si sono alternati
durante lo stesso lasso di tempo ? Chi potrebbe dirlo, chi potrebbe
riassumere l’operato svolto nei rispettivi ruoli da i suddetti attori
arrivando a svelare un segreto di Pulcinella che ormai conoscono
perfino i muli talmente è risaputo ? (vale a dire “il segreto” che in
Italia il significato della parola responsabilità sta al deputato politico
come la cura per la condizione femminile sta al misogino).
A chi serve ricordarlo ? Servisse a qualcosa o a qualcuno si potrebbe
ampliare il dibattito, coinvolgere coscienze, prima che autorità
competenti, pronte a ratificare decreti atti a regolare i confronti
mediatici attraverso norme che vietino toni deliberatamente accesi
esibiti dall’opinionista di turno con metodi triti e ritriti al solo scopo
di avere più persone che li ascoltano, sensibilizzare l’opinione pubblica
su temi rilevanti evitando di far diventare un caso nazionale le
vicissitudini (per usare un eufemismo) di qualche paparazzo esaltato,
per esempio. Magari. Visto che però serve a nulla non si capisce
perché qualcuno (in senso lato) si ostina a dirlo e a ripeterlo da anni
senza riuscire ad ottenere un minimo riscontro, ma soprattutto non
si capisce perché qualcun altro (sempre in senso lato) continua a
chiedersi che fine farebbe il pluralismo e la libertà d’espressione
qualora dovesse essere costretto a non trasmettere più simili
programmi televisivi. Eppure chi dovrebbe e potrebbe essere così
ostinato da arrogarsi il diritto di decidere cosa trasmettere e cosa
non trasmettere – considerata la complessa rete di responsabilità
esercitata nel rispetto delle vigenti leggi sia da i ministri che da i
sottosegretari del relativo Ministero – non lo fa, temporeggia, in
sostanza si occupa di altre priorità declinando questa enorme e
gravosa responsabilità sulle spalle di troppi utenti, che probabilmente
la televisione non la guardano nemmeno più talmente sono nauseati,
ma che comunque, statisticamente parlando, risultano ancora per
assurdo essere una minoranza piuttosto facile sia da sottomettere
che da fingere di compatire.