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Social laico

“L’OSSERVATORE SPIATO”
RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

Social laico

Il fatto che a livello istituzionale i social siano usati per esprimere
questo piuttosto che quel dissenso o approvazione (fino a prova
contraria si può ancora dire approvazione, anche se il termine
endorsement è entrato di diritto a far parte del lessico di ogni
emiciclo governativo per “ovvie” ragioni globali) in merito a un
decreto ministeriale oppure a una semplice dichiarazione fuorviante
come dovrebbe essere giudicato, di impatto, ovvero di maggior
trasparenza nei confronti dell’opinione pubblica e quindi consono
alle attuali strategie di comunicazione, oppure di rottura, e cioè di
esasperazione causata dall’ennesimo inganno perpetrato nei confronti
della stessa opinione pubblica che – nonostante sembri informata
nonché preparata, perfino su temi costituzionali – si rifiuta di
accettarlo come mezzo di un sistema comunicativo che sta per
implodere ? Che cosa si dovrebbe fare in sostanza per cercare di
stimolare e sensibilizzare l’opinione pubblica sull’orientamento dei
mezzi di comunicazione, sul perché l’uso compulsivo di tali mezzi – che
ormai sono diventati parte integrante del nostro comune agire –
porterebbero ad una progressiva implosione del sistema
comunicativo ? Utile forse supporre che per rispondere a queste
domande si dovrebbero prima spegnere tutti i dispositivi tecnologici –
come quando si sta per prendere un aereo, se non addirittura
vietarli durante manifestazioni del genere – per poi iniziare un
dibattito costruttivo in una pubblica piazza senza essere “costretti”
a monitorare il confronto ? Probabilmente si, ma considerato che la
minoranza a pensarla in questo senso è davvero esigua l’unico
strumento valido – efficace se non altro a mitigare le convinzioni dei
più – pare sia creare giustificati allarmismi attraverso la
pubblicazione di studi approfonditi sull’argomento, che dimostrano
come e soprattutto quanto l’uso compulsivo di dispositivi tecnologici
possa danneggiare le nostre reali facoltà cognitive. Malgrado sia
stato infatti ampiamente dimostrato da questi studi che il più volte
citato abuso evita di stimolare la riflessione, oltre che limitare
l’effettiva capacità di comprendere certi argomenti, il consumo di
dispositivi tecnologici è in costante aumento, di conseguenza il
fenomeno, per logica paradossale, potrebbe anche essere destinato
a implodere : si pensi alla legna da ardere che all’interno della camera
di combustione di un caminetto brucia fino a diventare cenere, ma
che se la si alimentasse con altra legna con l’intento di farla bruciare
più in fretta credendo di poter generare più calore la stessa legna
si spegnerebbe ancor prima di diventare cenere ; allo stesso modo
i governi che dovessero strumentalizzare oltremodo i colossi del
web al fine di raggiungere una congrua omologazione sociale
dovrebbero poi sottostare alle regole del gioco imposte da questi
ultimi, e di conseguenza deliberare altre nuove leggi prima che
l’introito economico generato dalla vendita di dispositivi tecnologici
assuma proporzioni colossali monopolizzando il prodotto interno
lordo e dettando così le condizioni ideali per cambiare per l’ennesima volta
le leggi sul conflitto d’interesse – che fino a prova contraria continua
ad essere un caposaldo delle sedicenti democrazie. L’importanza
dell’uso dei social da parte dei governi ha però innescato un
coinvolgimento e una partecipazione alle tematiche più rilevanti
senza precedenti, in un breve lasso di tempo le organizzazioni non
governative, le associazioni e i movimenti nati spontaneamente
proprio sui social sia per manifestare il dissenso nei confronti di
politiche e politici sbagliati – frutto di conflitti di interessi mai risolti –
che per segnalare perché l’opinione pubblica non crede più a nessuno,
si sono moltiplicati a dismisura, dalle primavere arabe ai gilet gialli
(di più recente costituzione) consolidando ciò che da sempre la
collettività chiede a chi sceglie di governare. Cosa questa che avviene
puntualmente comunque troppo tardi, ovvero quando i relativi
provvedimenti in merito all’aumento di carburante (piuttosto che
ad altre misure di austerità) sono già stati presi, e anche se i tavoli
di negoziato tra le parti sociali avverse sembrano lasciare intuire
un barlume di speranza dopo un po’ tutto torna come prima.
In questi giorni a Bologna si è svolto il PKFM, la conferenza dedicata
al neuromarketing giunta ormai alla sua quarta edizione. Ora, parlare
di neuromarketing in uno spazio così ristretto come quello di un
articolo per cercare in qualche modo di rendere noto che già soltanto
il fatto che “l’entrare nella mente dei consumatori” dovrebbe essere
uno stimolo per anticipare la nascita di movimenti che dovrebbero
quanto meno indignarsi contro queste nuove forme di schiavismo,
non è di certo adatto ad evocare che cosa in realtà si propongono i
fautori di questa pubblicità di precisione, comunque sia sarebbe
interessante ampliare il dibattito, portarlo in Parlamento per vedere
almeno chi avesse il coraggio di incentivare i promotori di simili
attività – che d’altronde osano auto definirsi umanisti. Il fatto che se
ne parli ancora tutto sommato troppo poco a livello mediatico
(non allo stesso livello di temi più importanti, per capirci) non significa
però che non meriti un’attenzione particolare, anzi, vuol dire
piuttosto che l’attenzione rivolta a queste tematiche è purtroppo
ancora molto bassa, forse perché pensiamo che siano argomenti che
non ci riguardano da vicino, oppure magari forse perché – come
sostiene uno dei guru del marketing 3.0 – sebbene la noia sia il motore
della creatività, noi abbiamo smesso di annoiarci, dunque allora non
avremo nemmeno più gli stimoli necessari a contrastare chi si
propone di orientare i consumi tramite degli studi di settore basati
sulle neuroscienze per invogliare l’utente a comprare un prodotto
senza aver bisogno di chiedergli se sia o meno di suo effettivo
gradimento, e dunque, nonostante il nostro quotidiano sforzo di
alterare testi o dichiarazioni altrui nel tentativo di confutare verità
inesistenti sia vano, ci ostiniamo a convivere in una società priva di
valori sia umani che politici, una società che in una sola parola si
potrebbe sintetizzare in destabilizzante.