“L’OSSERVATORE SPIATO”
RIVISTA OCCASIONALE IN RETE
Responsabilità a priori, anzi, ai boss
Le ragioni di ingovernabilità del nostro Paese, o per meglio dire, le
ragioni degli eterni avvicendamenti politici che hanno causato in media
una crisi di governo ogni due anni nell’arco di tutte le legislature che
si sono susseguite da quando lo Stato italiano è diventata una
Repubblica fondata sul lavoro, sono a dir poco risapute. Quel che
resta da ricordare è come e perchè le classi dirigenti abbiano dovuto
sottomettersi ai poteri – nemmeno poi così occulti – gestiti dalle note
associazioni (alcune criminali di fatto, altre solo di parvenza) che per
professione sono abituate a spartirli.
Gli anni bui del terrorismo nazionale – che da una parte consacrarono
come matrice politica nera sia i mandanti che gli esecutori materiali
di stragi e di attentati, mentre dall’altra fecero capire ai posteri
(meglio di qualsiasi ricostruzione storica) che la matrice politica
rossa ordinò si altre stragi e altri attentati, ma che dovette farlo su
pressione dello stesso direttivo preposto al “commissariamento
istituzionale” – sancirono il definitivo e tutt’ora permanente scarico
di responsabilità degli eletti : per farla breve, se eri uno che faceva
della legalità il suo principio imprescindibile venivi ammazzato,
indipendentemente dalla professione svolta (politico, giornalista,
imprenditore, eccetera) mentre invece se appartenevi alla casta degli
intoccabili (ovvero ai collusi, a quelli che ricoprivano alte cariche
istituzionali ma che al tempo stesso obbedivano ai vertici dei poteri
occulti) eri costretto al depistaggio. Con ciò non s’intende certo dire
che oggi non esista un simile clima di intimidazione – attuato per altro
con evidenti riserve da parte dei sopravvissuti, si pensi solo a quanti
partiti si sono formati negli ultimi dieci anni – si vuole esclusivamente
ricordare che il depistaggio è aumentato nonostante le vittime siano
in calo. Il tanto agognato senso di responsabilità, ripetuto fino alla
nausea e declamato da ogni politico che si rispetti, sarebbe da
considerarsi pia illusione qualora le associazioni citate lo imponessero
come obbligo d’espressione mediatica – pena inevitabili ritorsioni,
alla stregua delle conseguenze causate dal mancato pagamento del
famigerato pizzo ? Chi sarebbe più responsabile nei confronti dello
Stato (e quindi dei suoi abitanti) un politico che in una maggioranza di
governo decidesse di bloccare i lavori per le opere relative al
compimento della tratta ferroviaria Torino Lione, oppure un altro
politico che, seduto tra i banchi dell’opposizione, si battesse con ogni
mezzo per cercare di fermare un eventuale decreto legislativo
votato per fare la stessa cosa ? Intanto occorre dire che parlando in
termini economici – che significa sempre mettere mano ai fondi
pubblici – arrivati nell’attuale fase di realizzazione, se i costi
provocati da un’improvvisa cessata attività pareggiassero, se non
addirittura superassero il bilancio di quelli relativi al compimento
delle opere e delle infrastrutture, converrebbe terminare i lavori e
concludere la tratta – rispettando comunque una serie interminabile
di delibere intraprese dalle commissioni dei due Paesi in questione
al fine di migliorare il traffico ferroviario, e non solo.
Ma in realtà a chi converrebbe, ai promotori di uno sviluppo
sostenibile “eco solidale” (quali sono i politici che hanno proposto di
compiere quelle opere) che favorisca sia gli scambi commerciali che
gli spostamenti (si pensi soltanto all’enorme coda di persone che si
formerebbe davanti ai botteghini delle ferrovie dello Stato pur di
accaparrarsi il biglietto di un treno ad alta velocità, considerata la
condizione da nababbi in cui versano) oltre che naturalmente l’evitare
di deturpare il paesaggio circostante, oppure agli utenti ?
Assistere oggi impotenti di fronte alle decisioni dei governi europei,
che in buona sostanza non fanno altro che pensare al bene comune
dei loro rispettivi Paesi – soprattutto in virtù della vocazione che
avrebbe spinto i loro maggiori rappresentanti a tale sacrificio –
è qualcosa di tragicamente buffo : l’ansia e il terrore percepito a
proposito di una scalata plebea è talmente evidente che i mercati
oscillano negativamente non appena il tentativo di una qualsiasi
dichiarazione populista viene sopraffatto da quello di una
dichiarazione europeista (perciò garantista) e malgrado non si sia
formata né un’unione europea politica prima di formarne una
economica, né tanto meno un’adeguata revisione dei conti pubblici in
merito al debito o al credito che ogni Paese dell’UE ha nei confronti
di un altro. Va da sé che una simile situazione di ingovernabilità
(il riferimento alla stroncatura del Presidente del Consiglio incaricato
è più che mai sottinteso) non poteva far altro che generare un fiume
torrenziale di critiche, commenti, rimostranze, proposte, in una
parola, di parole che non hanno certo mitigato la tensione venutasi a
creare subito dopo la presa di posizione da parte del capo dello Stato.
E guarda caso le parole più ridondanti sono proprio quelle che hanno
pronunciato i rappresentanti delle maggiori forze politiche attuali
(definite populiste per una sorta di deriva autoritaria da i garantisti
dell’UE) ovvero che si è fatto un esplicito riferimento al colpo di Stato,
all’abuso di potere che il capo dello Stato avrebbe fatto per eludere
il voto democratico espresso dagli italiani lo scorso 4 Marzo.
Chi sarebbe più responsabile nei confronti dello Stato (che dovrebbe
rappresentare un popolo) un Presidente della Repubblica che viola la
Costituzione offrendo l’incarico a un tecnocrate, oppure un capo
politico che intende trascinare nel baratro del fallimento un intero
popolo ? Secondo le prime parole del nuovo Presidente del Consiglio
incaricato (il tecnocrate) non ci sono dubbi : accettando l’incarico
ha garantito che attraverso la sua amministrazione i conti pubblici
sarebbero al sicuro – l’ennesimo paradigma di ammissione del tanto
agognato senso di responsabilità imposto da qualcun altro per
adempiere in un modo o in un altro agli obblighi di espressione
mediatica.