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“L’OSSERVATORE SPIATO”
RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

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Oggi – o forse da sempre – la solitudine è un problema che riguarda
milioni di persone e che continua a non essere risolto probabilmente
perché (nonostante sia passato molto tempo e le rispettive lingue si
siano evolute, con altri rispettivi linguaggi) da Babilonia in poi la
reciproca comprensione è diventata una peculiarità elitaria, propria
soltanto delle persone virtuose, che nel corso dei secoli sono riuscite
a maturare e a consolidare un sincero rapporto d’amicizia evitando
così di finire per farne parte, di quei milioni, di conseguenza – vuoi
perché i rapporti di coppia sono in una continua fase di per così dire
momentanei malintesi e vuoi invece perché i valori umani stanno
progressivamente scomparendo – la crescita di questo problema è
in continuo aumento. Come è noto a pochi la progressiva crescita della
solitudine ha dato adito alle grandi società di comunicazione di trovare
un modo per lenire e al tempo stesso veicolare questo sentimento
tra i miliardi di persone che usano i social network ormai come
un’abitudine irrinunciabile, dimenticando che il trattamento dei loro
dati personali – concessi senza alcuna esitazione – è la primaria fonte
di potere nonché di sostanza per quelle altrettanto note società che
controllano le vite degli utenti stessi. Ora, è difficile immaginare
qualcuno che, sull’onda del successo ottenuto grazie proprio a una
reputazione che avrebbe saputo costruirsi in Rete, tacciasse quelle
società (cui avrebbe fornito il suo esplicito consenso al trattamento
dei suoi dati) di violazione di un diritto che lui stesso avrebbe
acconsentito a far violare, ma la domanda è : perché invece di
investire in un sentimento come la solitudine quelle società non hanno
voluto creare uno spazio multimediale interattivo in cui, pagando una
cifra irrisoria, tutti avrebbero potuto ugualmente usufruirne senza
però rilasciare alcun dato personale per accedervi, oppure
rilasciando soltanto una semplice autocertificazione?
Se non fosse per ovvie ragioni legali la risposta sarebbe retorica – se
non banale, si pensi alla parola gratis e a quanti utenti genera il solo
pronunciarla – considerato però che di legale c’è solamente il modus
operandi di queste società viene piuttosto spontaneo dire che
optando per un operato che ha di fatto posto in essere le condizioni
per un usufrutto “gratuito” del servizio offerto i profitti si sono
moltiplicati in modo esponenziale, da quanto è poi emerso dalle analisi
di diversi osservatori. Parlare di furto di identità oggi dunque – o se
non altro di appropriazione indebita di opinioni considerate
socialmente irrilevanti perché dettate da delle strategie mediatiche
che le fanno apparire tali, come per esempio da algoritmi di linguaggio
creati apposta per essere politicamente efficaci a condizionare il
pensiero di chi ha ancora voglia di tenersi informato sulla realtà che
lo circonda – è un po’ come cercare di attrarre il lettore con
narrazioni distopiche sapendo però al tempo stesso che alcuni eventi
catastrofici si sono già irrimediabilmente verificati. Per questo le
grandi società di comunicazione si fanno promotrici – ad ogni istante –
di messaggi del genere : è indubbio che le principali motivazioni che le
hanno spinte a investire parte del loro tempo e soprattutto delle loro
risorse in simili iniziative siano comunque dovute (come qualcuno
potrà facilmente intuire) a dei favoritismi, a delle particolari
raccomandazioni che il direttivo di tali società, con l’ausilio del
personale competente, ha ritenuto opportuno di dover fare nei
riguardi di tutte quelle persone che invece pensano che sia falso che
la solitudine possa tuttora essere considerata in una fase di
crescita costante e che in ragione di questo, dopo ponderate
riflessioni, siano giunti alla conclusione di non segnalare più alle
community di riferimento dei messaggi di natura opposta indicandoli
come opinioni socialmente irrilevanti (meglio note come spam) onde
evitare ulteriori incomprensioni tra gli utenti.