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Mai dire sempre

“L’OSSERVATORE SPIATO”
RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

Mai dire sempre

“Ad un certo punto della vita mi sono detto : tanto, anche se dovessi
viverne altre mille di vite diverse l’una dall’altra impegnandomi ad
immagazzinare i saperi di ognuna, mai riuscirei a conoscermi a fondo
e a servire gli altri per ciò che credo di poter fare, quindi tanto vale
concentrarsi su uno solo (di sapere) limitando questo mio personale
apprendistato entro e non oltre cento classici della letteratura
(che per quel che mi riguarda sono sempre stati e sempre lo saranno
testi fondamentali del mio percorso formativo) ; rileggerli di continuo
durante tutto il corso della mia esistenza terrena senza più
concedermi la possibilità di apprendere altro e soprattutto senza
più dover sostenere alcun genere di confronto o, per dirla tutta,
senza più essere costretto ad instaurare alcun tipo di interazione
umana”. Questo breve scritto non è l’incipit di un romanzo inedito,
né la confessione di un – pardon, oggi si dice outing me lo stavo quasi
per dimenticare – di un povero cristo sull’orlo di una profonda crisi
depressiva, né tantomeno lo stralcio di un’apologia scritta da qualche
filosofo neoliberista che affabula i salotti mediatici più ambiti –
condotti come di consueto da professionisti del settore, che pur
di non far pesare al contribuente il fatto di non percepire altro che il
minimo salariale (proporzionato al livello di ascolti offerto, sia chiaro)
invita tutti al confronto sapendo di poter godere di quella popolarità
di cui non è immune chi viene tacciato di populismo, con la sola e unica
differenza che i populisti guadagnano cifre faraoniche rispetto al
cachet di quel genere di conduttori – ma potrebbe essere, per assurdo,
una sintesi del pensiero democratico perenne.
Liberamente ispirato a uno splendido decalogo tratto da un’opera
(“Il fascismo eterno”) scritta più di vent’anni fa da uno dei più noti
intellettuali italiani – dove si evince la tesi secondo cui è nostro
dovere riconoscere la mentalità fascista, non tanto per evitare il
ripetersi di storiche dittature repressive quanto per scongiurare
eventuali legislature sospette che potrebbero e che potranno sempre
realizzarsi – questo articolo si propone infatti di dimostrare,
paradossalmente, come e perché invece quel genere di pensiero
democratico ha sempre continuato e sempre continuerà a garantire
longevità ai governi che si susseguono. Il fatto che di per sé il principio
democratico sia un valore oltre che un principio sano, condivisibile –
così come per altro potrebbe esserlo quello radicato nel dna delle
più diverse ideologie antidemocratiche – non significa però di certo
che si fondi sulla più nobile delle cause politiche : ovvero quella di
avere si la vocazione di fare politica, ma solo per poter migliorare le
condizioni socioeconomiche di un Paese. Che la stragrande
maggioranza (per non dire la quasi totalità in termini percentuali) di
chi ha scelto di fare il politico di professione lo abbia fatto per la
suddetta causa è inutile chiederselo, talmente sarebbe scontata la
risposta, dunque sarebbe non soltanto lecito supporre che chi decide
di farlo “a un certo punto della sua vita si sia detto che, visto quanto
si guadagna facendo politica, tanto valeva la pena concentrarsi su di
un solo sapere” per continuare sia a salvaguardare gli interessi
personali che a legittimare condotte fraudolente, ma sarebbe
indispensabile chiedersi perché quel pensiero democratico sia l’unico
tra i tanti esistenti che possa garantire longevità ai governi che si
susseguono. Dalla prima repubblica in poi quel pensiero democratico
si è per così dire adattato alle esigenze della criminalità organizzata,
conformandosi (a seconda di chi faceva comodo che governasse nei
vari periodi storici) come un caposaldo razionale per l’opinione
pubblica, un caposaldo consolidato dalla più mendace e meschina
giustificazione che quasi tutti i politici che si sono avvicendati in
questi 70 anni di “pace e di prosperità” hanno avuto modo di
sbandierare, vale a dire avvalersi di quei sani principi e valori
espressi nella nostra Carta Costituzionale per dichiarare
pubblicamente di “operare nell’interresse del Paese”. Un chiaro
esempio di questo perenne giustificarsi attraverso gli organi
istituzionali preposti è facilmente riscontrabile proprio all’epoca
in cui la suddetta opera venne pubblicata – dove purtroppo iniziò ad
inculcarsi nell’opinione pubblica l’idea che i reati commessi da chi
veniva eletto democraticamente dovessero sparire dalla circolazione
a vantaggio di chi quei reati li commetteva o li commissionava, che
invece era “pronto per governare”: paradossalmente infatti, un
sistema di connivenza permanente, alimentato da una propaganda
ininterrotta di notizie false nonché di spettacoli aberranti e
inguardabili trasmessi esclusivamente per condizionare oltremisura il
già precario senso di orientamento di chi è succube dell’omologazione
sociale, e avallato da chi si rifiuta in modo categorico di ammettere
che chi prende sovvenzioni statali per diffondere notizie false
dovrebbe quanto meno essere perseguito legalmente, è di fatto il
sistema più efficace per continuare a mantenere in costante apatia
l’opinione pubblica e garantire così che le fondamenta di quel pensiero
democratico non risentano di alcun cedimento strutturale, provocato
magari da qualche acuta infiltrazione. Oggi questo sistema è talmente
amplificato che a forza di far passare per vere certe falsità colossali
le verità diventano false e le menzogne risultano vere, così, proprio
come accadde attraverso gli strumenti della propaganda nazista dove
riuscirono ad emergere addirittura angeliche figure come quelle dei
negazionisti, anche oggi, tramite una propaganda molto più complessa,
trasversale, che si potrebbe definire di rottura (che fomenta cioè lo
spaccato sociale in cui siamo costretti a vivere) quel pensiero
democratico continua ad emergere e ad imperversare nell’opinione
pubblica come se nulla fosse successo. “Tanto vale perciò limitarsi a
trasmettere sempre le solite cose (nel rispetto del numero
circoscritto di capolavori che giorno dopo giorno vengono trasmessi
dalla maggioranza delle emittenti televisive e che sono di fatto stati,
e lo saranno sempre, format di indiscutibile rilevanza nel percorso
culturale di ogni spettatore che si rispetti) senza più dover sostenere
alcun genere di confronto che possa in qualche modo minare il suo già
ormai precario indice di ascolto” direbbe forse chi fosse convinto che il
taglio allo stipendio di qualche conduttore televisivo possa in effetti
causare un danno erariale incalcolabile.