Chi va piano oggi è solo strano
28 Ottobre 2018
Sintesi di un commento
7 Novembre 2018
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IV Novembre

“L’OSSERVATORE SPIATO”
RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

IV Novembre

“E’ sempre una grandissima impertinenza da parte di un qualsiasi
uomo credere di essere perfettamente d’accordo con un altro uomo”.
Così Ezra Pound, da uno stralcio estratto da “Guide to Kulchur”
(la sua Guida alla Cultura scritta nel 1938).
A differenza dello spirito di quel caposaldo del Nuovo insegnamento
che Pound si propose di divulgare – anche per contribuire a diffondere
il sapere soprattutto alle persone che non potevano permettersi di
pagare una retta universitaria, un insegnamento che spaziava da
Confucio a Ovidio, basato su una metodologia raffinata (sia in senso
letterale, che semantico, oltre che parodistico, si pensi solo al titolo :
Guide to Kulchur invece che della più prevedibile Guide to Culture) –
questa citazione non è una citazione morta, o pietrificata, così come
a ragion veduta l’avrebbe potuta intendere Pound per il semplice fatto
che citazioni del genere (con tanto di date e di cognizioni di causa)
restavano quasi sempre circoscritte all’autore stesso, mai nascoste
e reintegrate da altri autori che le potevano così integrare nei loro
contenuti testuali rendendole perciò vive e fruibili senza dover per
forza menzionare l’autore di quelle parole, piuttosto è invece,
o meglio, vuole essere per prima cosa un tributo a un grande poeta
che è stato fin troppo strumentalizzato, e poi (o meglio ancora) al
tempo stesso, un costrutto razionale di quel che si intende e si
fraintende quando si parla di responsabilità anarchica, al di là di ogni
ragionevole dubbio che tale definizione deve senz’altro suscitare –
dunque è una citazione più viva che mai, specie in un giorno di
commemorazione come questo. Già 2600 anni fa, circa, alla domanda
posta da qualcuno che gli stava chiedendo perché non fosse al
governo, Confucio rispose che “il Libro della Storia diceva che il
governo sarà assicurato soltanto se ci sarà pietà verso i genitori
e amicizia per i fratelli, di conseguenza anche questa è una forma di
governo”… e di riflesso domandò : “perché per governare sarebbe
necessario essere al governo ?”, che detta così, oggi, magari da
qualche anonimo attivista aggiungendo o sovrapponendo qualche
principio fondante contrario sia ai populisti che ai democratici
succubi del consociativismo che ai garantisti liberali suonerebbe
come un’idiozia, così come passerebbe per la frase più eversiva
e irresponsabile mai fatta uscire dalla bocca di qualcuno se fosse
preconizzata da qualche autorevole esponente della cultura
contemporanea. Eppure un popolo – volendosi ostinare a citare
ancora massime confuciane – “se lo guidi con le leggi e lo regoli con
le pene, mirerà ad evitarle e sarà senza vergogna. Se lo guidi con la
virtù e lo regoli con i riti conoscerà la vergogna e arriverà a
migliorarsi”. Ora, su che cosa si fonda, o meglio, su che cosa si
dovrebbe fondare un credo politico se non sulla vocazione di
migliorare le condizioni di un popolo, ma soprattutto che cosa si
intende per migliorare, regredire o progredire, ridistribuire
economicamente le risorse o continuare a speculare sulle risorse?
Se da un punto di vista epistocratico il suffragio universale dovrebbe
essere abrogato per consentire alle varie autorità elette
democraticamente di legiferare sulla base di un consenso più
consapevole, perché – anche se, qualora si dovesse ritornare per
esempio al voto per estrazione (come nella Grecia antica) le
competenze di chi se ne assumesse per obbligo le responsabilità
rischierebbero di non bastare mai in una società complessa come
quella attuale nonostante il veto imposto agli ignoranti di votare o di
candidarsi – perché quindi l’astensionismo continua ad essere il
maggior partito politico coinvolgendo sempre più nuovi “adepti” tra
gli aventi diritto al voto? Da che cosa bisognerebbe iniziare per
ridurre l’astensione se non in modo drastico, almeno marginale,
convincente più che altro, portando così i partecipanti ad eleggere
i loro rappresentanti con il più alto tasso percentuale mai registrato?
Qualora poi dovessero mai esserci i presupposti per vedere
finalmente un’affluenza del genere alle urne, come si comporterebbe
la maggioranza di governo in Parlamento, a quali effettivi rischi di
totalitarismo verremo esposti? Che cosa dunque si intende quando
si parla di responsabilità anarchica? Estinguere le istituzioni in modo
progressivo, pianificato, oppure magari facendo esplodere le bombe
per poi rivendicare gli attentati sul proprio sito web?
Potrebbe essere, certo, ma potrebbe esserlo soltanto per chi
continuasse ad avere la licenza legale di frodare, di umiliare, ma
soprattutto di annichilire un popolo attraverso il susseguirsi di
governi che mai hanno fatto il loro dovere negli interessi del popolo.
Per responsabilità anarchica s’intende motivare nobili coscienze
(che sanno meglio di chiunque altro perché è irrinunciabile una
componente anarchica per poter risolvere la maggior parte delle
emergenze sociali nonostante, paradossalmente, alcune di quelle
coscienze militino perfino tra le fila delle istituzioni) a compiere
le riforme necessarie che servono a soddisfare le esigenze della
collettività, partendo proprio dalla riforma del sistema elettorale.
Il voto – inteso come diritto dall’art. 48 della Costituzione – aprirebbe
di fatto una discussione interminabile sul suffragio universale, sul
perché l’epistocrazia dovrebbe o potrebbe essere considerata, ad
oggi, l’unica forma o metodo di governo in grado di venire incontro
alle emergenze sociali garantendo quello stesso diritto sancito
dall’art. 48 (ovvero che il diritto di voto non può essere limitato se
non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile
e nei casi di indegnità morale indicati dalla legge). Se però le cause
delle incapacità civili degli elettori – che hanno portato Paesi non
soltanto come l’Italia a perseguire una delle contraddizioni più
esplicite in termini di occupazione (e dunque di crescita economica)
ovvero favorire quegli investimenti mirati ad automatizzare i vari
settori dello sviluppo pensando però al tempo stesso che le
competenze necessarie a sostenerlo continuano a mancare – e che
hanno pure impedito ai popoli di scegliersi una classe dirigente che
possa rappresentarli degnamente, si sommassero agli effetti delle
sentenze irrevocabili dimostrate in Italia dalla prima repubblica in
poi, forse nemmeno si parlerebbe di epistocrazia, forse si
comincerebbe a ragionare in termini pragmatici : iniziando a
promuovere quesiti refendari mirati ad abrogare il sistema
proporzionale lasciando come unica espressione di voto il
maggioritario, a dividere o meno i territori (inclusi quelli a statuto
speciale) in collegi uninominali, ad alzare la soglia di sbarramento al
7% invece che al 5%, insomma a porre tutte le questioni più rilevanti
che sarebbero utili a mantenere alti gli interessi per continuare a
vivere in un Paese governato democraticamente. E’ inutile, tanto
nemmeno con un enciclopedia di scienze politiche fatta scorrere tra
le lenti di occhiali predisposti alla realtà aumentata (mentre
qualcuno glielo chiedesse) la maggior parte degli italiani saprebbe
che cosa rispondere sulle tematiche più importanti – direbbe qualche
giornalista convinto che soltanto con l’epistocrazia si potrebbero
risolvere le emergenze sociali. E invece no, invece la sfida quotidiana
per confutare queste e altre tesi imperniate sul negazionismo
dimostrato a priori nei confronti di qualcosa che dovrebbe e che
potrebbe essere realizzato – per chi si assumesse una responsabilità
anarchica – non può che passare attraverso l’analisi politica di ciò
che ci circonda. Riformare il sistema elettorale è ormai diventata
un’emergenza sociale probabilmente da quando gli allora inconsapevoli
padri costituenti la strutturarono : chi ignora queste cose dovrebbe
farsi un accurato esame di coscienza prima di decidersi a fare della
politica lo strumento ideale adatto esclusivamente a soddisfare le
proprie esigenze. Per ciò che riguarda invece che cosa si fraintende
quando si parla di responsabilità anarchica occorre dire in primo
luogo che non mancano né tantomeno mancheranno di certo le
occasioni – avvalendosi di tale fraintendimento – di denigrare e di
calunniare chi esprime il suo pensiero in questi termini, e in secondo
che la libertà d’espressione misurata ancora tramite strumenti
ridicoli, desueti e noiosi come i confronti mediatici è destinata a
causare danni enormi sia alla comunicazione che, per effetto,
alla democrazia.