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In nome dell’orchidea

         “L’OSSERVATORE SPIATO”

     RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

   

         In nome dell’orchidea

 





A un anno esatto dal risultato delle elezioni politiche che hanno

  sancito nel bene e nel male la svolta (cosiddetta, all’unanimità)

  sovranista nel Bel Paese, le questioni economiche e sociali più

  importanti rimangono irrisolte – nonostante lo sforzo dimostrato

  dall’attuale coalizione di governo qualche effetto lo abbia perfino

  prodotto, eppure, per la maggior parte del popolo (sovrano e non,

  a seconda se quelli che militano tra le fila di un movimento o di un

  partito che si riconoscono nelle scelte fatte da i loro più illustri

  rappresentanti si trovino all’opposizione o in maggioranza) le cose

  sembrano e sono peggiorate. Inutile dire che se fosse vero che oggi

  le cose sono peggiorate, ai tempi di Tangentopoli avrebbe dovuto

  essere scolpito nel marmo e insegnato nelle scuole dell’obbligo che

  l’essere indagato per corruzione e il creare società fantasma per

  poi farle fallire dimenticandosi di pagare i dipendenti erano gli unici

  requisiti indispensabili per potersi iscrivere a un partito o a un

  movimento, fatto sta che secondo recenti notizie divulgate da i

  maggiori network il Bel Paese sarebbe non soltanto entrato in

  recessione, ma potrebbe addirittura trascinare l’Europa intera al

  suo totale fallimento. Per altro, sempre secondo notizie fresche,

  i nostri servizi segreti sarebbero sulle tracce di diversi foreign

  fighters nazionali (legati alla Jihad) nonché di molti altri esponenti

  di estrema destra, i quali sarebbero in procinto di organizzare

  attentati xenofobi in previsione (anche, oltre che per “normale

  condotta”) della scadenza delle prossime elezioni europee che si

  terranno tra poco più di due mesi. Ora, il fatto che mandare in onda

  una notizia del genere in un momento già abbastanza delicato per

  quel che riguarda l’aumento esponenziale degli episodi di razzismo

  che purtroppo non accennano a diminuire sia già di per sé una scelta

  dettata dalle modalità di propaganda ininterrotta attuata da una

 parte di stampa che è solita strumentalizzare simili notizie è risaputo,

  anche se occorre ricordarlo, perché però non viene detto, o meglio,

  perché se qualcuno si azzarda a dirlo viene subito tacciato di non

  essere altro che un giustizialista? Perché esiste questa “paura”

  (mascherata da scurrile pretesto nel dover dire che non è affatto

  vero che ci sono queste strumentalizzazioni) che dimostrano molti

  giornalisti quando vengono interpellati su che cosa dovrebbero o non

  dovrebbero mandare in onda? Non sarà mica perché questa sera

  RAI fiction in collaborazione con un’emittente tedesca trasmette la

  prima puntata del colossal remake de “Il nome della rosa”?

  Considerato che la verità e la conoscenza – indipendentemente dal

  fatto che si tratti di finzione o di realtà – devono sempre venir fuori il

  meno possibile e che piuttosto di far sapere a Frate Guglielmo (il quale

  fu chiamato apposta per indagare sui misteriosi delitti che a quel

  tempo funestarono l’antico monastero) i segreti custoditi nella

  preziosa Biblioteca gli anziani Frati responsabili delle uccisioni

  preferirono incendiarla, sembrerebbe di si, e comunque sia la cosa più

  sconcertante che si può notare nel leggere il noto romanzo, così come

  nel vedere l’altrettanto famoso film, è che il più delle volte nella

  (metaforica) Biblioteca venivano sistematicamente divulgate delle

  menzogne invece che delle verità. In Rete i siti che stanno divulgando

  notizie false a riguardo di cellule terroristiche che si sarebbero

  infiltrate nei nostri sistemi di spionaggio (pronti a indagare sulle loro

  illecite attività, monitorandole) oppure anche soltanto a riguardo di

  costumi o di usanze popolari sfoggiate da una qualsiasi etnia non

  occidentale sono in continuo aumento, ed è non solo legittimo

  smascherarli, ma è doveroso, proprio per la tutela della sicurezza

  pubblica. I maggiori network dicono che lo fanno con uno scopo ben

  preciso, ovvero quello di cercare di orientare quanta più gente

  possibile a votare per la disfatta europea. La domanda sorge dunque

  spontanea per quel che concerne la strumentalizzazione politica da

  parte della maggioranza dei giornali nel divulgare quel genere di

  notizie, anzi, nemmeno occorre formularla talmente è retorica,

  ma allora perché sia quei giornali che i maggiori network si

  interrogano sul ruolo che dovrebbe avere la cultura (quale unico

  mezzo possibile per garantire un’auspicabile proroga degli oltre 70

  anni di pace e di prosperità nel continente europeo) se al tempo

  stesso fosse l’attuale Presidente del Consiglio – come in effetti lo è

  stato – a dichiarare pubblicamente di aver scritto una lettera a

  “Repubblica” in cui si evince che sono stati stanziati dal governo

  11 miliardi per la sicurezza del territorio e che a ragion veduta si sia

  sentito in dovere di segnalarlo visto che il direttore di quel giornale

  ha ritenuto più opportuno ometterlo? Dal punto di vista di quei giornali

  sarebbe un’omissione culturalmente irrilevante, oppure (molto più

  politicamente corretto nell’ometterlo, beninteso) sarebbe loro più

  convenuto non scriverlo? Chi dovrebbe essere il garante super

  partes di una notizia che non sia divulgata secondo principi

  strumentali, qualcuno in grado di motivare i responsabili di edizione

  a dire o scrivere la verità dei fatti avvenuti nonostante a volte possa

  scontrarsi con la propria linea editoriale, oppure qualcun altro che

  possa incentivare i propri dipendenti a non dire o scrivere cose

  sconvenienti non facendo altro che fare disinformazione?

  Metaforicamente parlando quale fiore sarebbe più adatto nel

  cercare di ricostruire il significato di una pratica politica così

  indegna come la strumentalizzazione trasversalmente “condivisa”?

Difficile dirlo, anche se l’immaginazione potrebbe condizionarne il

pensiero, per certi versi, purtroppo però verrebbe subito interpretata

e tradotta nel suo valore semantico più vile – ovvero in calunnia. Del resto

quando il pluralismo si riduce da un 20/80 (l’ipotetico esempio è mostrato

in termini percentuali come una sorta di forbice che starebbe a

  marcare l’indice di faziosità o di linea filo governativa e non, espressa

  da i maggiori network) a un 10/90, e quando i confronti tra le diverse

  visioni politiche trasmessi da i talk show più seguiti si riducono ad

  essere animati da soggetti che pur di eludere un contraddittorio serio

  sono disposti a urlare invece discutere – soggetti avallati da

  mediatori che fanno il loro stesso giochetto – è improbabile che la

  figura di quel tipo di garante possa mai rivendicare il suo diritto a

  ricoprire il ruolo che gli compete. C’è bisogno di più Europa e di meno

  razzismo, è vero, ma è più vero del Vero che per realizzare questa

  utopia è necessario cambiare le norme che regolano il diritto che

  ogni singolo cittadino dovrebbe poter avere per essere informato su

  i fatti senza costrizioni imposte da questo piuttosto che da quel

  giornale che continuano a sopravvivere grazie al sacrificio di

  contribuenti assuefatti dall’omologazione indotta.