”L’osservatore spiato”
rivista occasionale in Rete
FINESTRE SPALANCATE
E’ tempo di bilanci. A quasi un anno dall’uscita di questa rivista – il cui scopo è e continuerà ad essere quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sugli effetti devastanti causati dall’uso e dall’abuso di mezzi di distrazione di massa – siamo fieri di poter esprimere pubblicamente la nostra gratitudine. La vera rivoluzione è arrivata : vedere infatti un qualsiasi programma di approfondimento culinario dodici mesi fa tutto sommato era ancora difficile da immaginare, mentre oggi invece non soltanto il cosiddetto show cooking è diventato indispensabile per chi si approccia a questo genere di lavoro, ma è addirittura formativo – basta pensare a come certe pietanze vengano presentate così metodicamente al fine di mostrarne la preparazione e soprattutto a quanti intenditori ne approvino il gusto. Eppure, parlare di approfondimento culinario, è alquanto riduttivo, primo perché induce a deviare l’attenzione mediatica su temi di estrema importanza, sociale e politica, e secondo perché offre, sia a chi ne parla e sia a chi non può fare a meno di sentire, quell’indipendenza televisiva che soltanto lo specifico argomento in sé è in grado di offrire. Premesse ironiche a parte – pardon, ironico morfocoattive, e partendo dal presupposto che per trasformare in utopia condivisibile una realtà priva di valori fondanti ci sia un assoluto bisogno dell’unione delle più diverse e molteplici minoranze non omologate per riuscire almeno in parte a ridurre l’impatto catastrofico causato dall’inquinamento audiovisivo dei mezzi di distrazione di massa e che occorre ricordare, sempre, anche quando la soglia di attenzione sembra eccessiva, che chi guarda e chi ascolta programmi inquinanti non fa altro che contribuire al continuo processo/progetto di omologazione. Ora, è pur vero che stabilire come e perché una qualsiasi trasmissione alla t.v. o alla radio o una discussione social sia inquinante dal punto di vista audiovisivo potrebbe essere vista – scusate la ripetizione – come la quintessenza della follia, ma quando l’assunto della maggior parte delle maggioranze che si ritengono normali soltanto perché quei programmi li guardano si riduce a “dimostrare” che è proprio a causa di quelle minoranze non omologate che nascono problemi di ogni genere, allora viene spontaneo spiegare le ragioni di questo “insano” modo di comportarsi.Tanto per cominciare il fatto che chi evita di assistere alla spettacolarizzazione dei sentimenti – che nella natura umana è qualcosa di frustrante oltre che umiliante, ma che disgraziatamente per la necessità di troppi individui che non hanno voglia di lavorare è diventato indispensabile – possa trarre giovamento alla salute del proprio corpo così come a quella del proprio spirito, mentre invece chi ha ancora il coraggio di guardarsi “C’è posta per te” – ignaro oltretutto del fatto che simili banalità potrebbero tornargli utili, utili soltanto per calunniare chi si permette di formulare certi giudizi nei suoi confronti, è evidente – sia in qualche modo costretto a seguire le indicazioni sulla propria alimentazione, così come i consigli per gli acquisti, dimostra in modo inequivocabile quale dei due soggetti in questione avrebbe bisogno di un neurologo che sappia impostare una terapia efficace. Il fatto poi che la stragrande maggioranza di individui omologati stia progressivamente perdendo la facoltà di comprendere i ragionamenti più elementari, alla stregua dei nativi digitali (e non solo) che inclinano pericolosamente e senza alcuna colpa la spina dorsale a forza di passare il tempo su dispositivi tecnologici favorendo così una postura non proprio corretta, non lascia spazio a interpretazioni. Ora, ripercorrendo a ritroso le date che hanno sancito l’avvento dell’era mediatica – a partire proprio da quel remoto 1954 quando la televisione diventò un fenomeno di massa coinvolgendo milioni di utenti fino ad approdare alle dirette streaming dei giorni nostri – ma evitando accuratamente anche il solo approccio di una ricerca nelle teche o negli archivi della RAI o dell’Istituto Luce finalizzata ad evocare il percorso storico analitico di certe trasmissioni, che sarebbe inutile, si può soltanto cercare di capire perché il fenomeno dell’inquinamento audiovisivo non è ancora stato debellato. Intanto bisogna dire che l’avvento dell’era mediatica coincide con il boom economico dei favolosi anni ’60, in cui le preoccupazioni generali non erano paragonabili a quelle del “rassicurante” primo ventennio che stiamo vivendo oggi, e che probabilmente non era prevedibile una deriva video inquinante di questa portata, anche se già allora esisteva un pubblico che idolatrava millantatori ed esibizionisti – si pensi soltanto allo spettatore che guarda qualcuno ripreso da delle telecamere come a una sorta di essere superiore relegando lo spettatore stesso a sentirsi inferiore, esempio questo di pasoliniana memoria. Da allora in poi il fenomeno si è progressivamente adattato alle opportunità create dal mondo dello spettacolo, che ha avuto il “pregio” di trasformare delle comuni scene quotidiane (cui noi tutti siamo abituati a compiere) in delle “professioni”che non dovrebbero esserci, ma che di fatto ci sono perché manca tutt’ora una responsabilità politica che sia in grado quanto meno di arginare ciò che è diventato incontrollabile sotto i nostri occhi. Ratificare dunque un provvedimento legislativo che tuteli la persona dalla pianificazione di palinsesti oggettivamente ridicoli – che purtroppo non fanno altro che fomentare quella perversa ingegnosità di chi lavora apposta per strumentalizzare e speculare sul fenomeno – dovrebbe essere una priorità, mentre invece continua a restare una delle ragioni principali per cui l’inquinamento audiovisivo imperversa senza alcun titolo e senza alcun controllo. Fare questo genere di segnalazioni è doveroso, soprattutto per non trovarci un giorno a non poter esprimere liberamente il proprio pensiero (come sta già accadendo in altre parti del mondo, la Turchia è l’esempio più lampante)dimenticandoci che abbiamo anche dei diritti.