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Falso d’autore

“L’OSSERVATORE SPIATO

RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

Falso d’autore

“Non so voi, ma io bevo Aperol” – così recitava uno slogan in auge addirittura il secolo scorso per pubblicizzare un aperitivo che oggi si potrebbe associare al più attuale “Spritz”, così come “Perchè io valgo” – riferito a un altro più recente slogan pronunciato da qualche bella e famosa attrice subito interessata a fare da testimonial per reclamizzare i prodotti di una nota azienda di cosmetici e poi quasi subito dopo modificato in “Perchè voi valete” in quanto il primo fu ritenuto eccessivamente discriminante (manco non lo fosse il secondo che, anzi, è perfino più ipocrita nei confronti di quelle donne che si vorrebbero assoggettare all’omologazione) – per non parlare poi delle attuali speculazioni filosofiche che si fanno per orientare l’acquisto del SUV o dell’ Ipad di turno. Ma che cosa si dovrebbe fare per invertire la rotta e fare in modo che le esigenze comuni del cosiddetto mondo civilizzato diventino altre, cercando di migliorare i rapporti interpersonali che talvolta sono anche condizionati (purtroppo) dall’acquisto di questi beni di consumo? Perchè il bisogno di anticonformismo è forte tanto quanto la necessità di usare i prodotti che soddisfano di più la propria libertà d’espressione, ma che al tempo stesso sono imposti dalle varie amministrazioni governative al solo scopo di controllare ogni singolo utente in ogni suo movimento o pensiero? Per rispondere alla prima domanda forse ci vorrebbe il contributo di qualche scienziato pronto ad impiantare nel cervello dell’utente medio dei microchip emozionali retroattivi per farlo in qualche modo rinsavire, e anche se si può affermare con una certa attendibilità che simili esperimenti sono già stati fatti (ma per ben altri scopi) personalmente non posso proprio fare a meno di esimermi dal segnalare in modo trito e ritrito, oltre che banale, che le varie associazioni di categoria, ma soprattutto le varie amministrazioni governative, nulla hanno fatto e nulla continuano a fare per trovare una soluzione all’emergenza degenerativa causata all’utente medio “costretto” a guardare certi spettacoli o comprare certi prodotti. Si è forse mai visto in tv uno spot pubblicitario divulgato con il patrocinio del MISE e ideato nonché usato come deterrente contro l’abuso della continua messa in onda di trasmissioni televisive oggettivamente inqualificabili e pertanto dannose alla salute mentale? Perchè – semmai ne siano state fatte di concrete – le proposte per riformare le norme che regolano le nomine della Commissione di vigilanza RAI vengono sempre fatte da qualcuno che quando ricopre l’incarico di Presidente (ossia quando sta all’opposizione di governo) le boccia, mentre invece quando vengono fatte da qualche altro esponente della maggioranza non vengono manco prese in considerazione, posto che sia una maggioranza che risponda effettivamente alle richieste dei cittadini e che soprattutto abbia un senso di responsabilità tale da riuscire ad attuare delle leggi impopolari? Sarà forse dovuto a una questione di stabilità, visto che dal 1946 in poi abbiamo la fortuna di cambiare soltanto due legislature? Considerazioni ironiche a parte, che con quel genere di introiti erariali lo Stato ci campi e riesca pure a trovare le coperture necessarie per far fronte ad altre emergenze va da sè, è un fatto assodato, eppure, quando emergenze di una gravità enorme come quella della propaganda ininterrotta del nulla multimediale propinato sotto svariate forme, diventano una priorità assoluta, si dovrebbe quanto meno fare in fretta per cercare di aiutare l’utente medio a comprendere meglio il mondo in cui si presume che viva, inducendolo a compiere delle scelte mirate esclusivamente alla tutela della sua consapevolezza, consapevolezza che qualcuno pronto a confutare analoghe riflessioni direbbe “consapevolezza tout court” (i francesismi come per altro gli anglicismi sono spesso fonte di incomprensione e pertanto vengono usati deliberatamente per disorientare l’utente medio) ma che in breve non è altro che il sapere che ciò che continuano vergognosamente a mandare in onda sui teleschermi facendolo passare per normale non è affatto normale e che la società, per migliorarsi tutta, ha un bisogno impellente di cambiare paradigma. Quanto alla libertà di stampa – che dovrebbe essere un diritto acquisito e conclamato in un Paese civile a conduzione democratica e che proprio in ragione di questo spinge una minoranza di individui ad esternare ciò che sente, nonostante sappiano di essere controllati in ogni loro comportamento – è lecito dire che si è estinta da quando più o meno trent’anni fa un noto imprenditore decise di “sacrificarsi nell’interesse del Paese” saldando tutti i debiti contratti dalle sue aziende di telecomunicazione con l’amministrazione pubblica diventando così l’uomo più ricco d’Italia, oppure bisogna far finta di niente e continuare imperterriti a dimostrare quanto la propria libertà d’espressione possa valere demonizzando sui social media (con una serie infinita di punti esclamativi a seguito del commento di turno) l’operato di quel politico in particolare piuttosto che quello di un altro? E’ vero che anche quella è una forma di libertà d’espressione, ma forse è più vero del vero che se si riducesse a soltanto a quel genere di commenti sarebbe perchè la maggioranza degli individui (classificabili nell’utente medio, i quali avrebbero bisogno di guardare altro) ha smesso da troppo tempo di connettersi con l’unica piattaforma digitale che ancora possiede e che pertanto urge un cambiamento radicale profondo.