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Evoluzione permanente

“L’OSSERVATORE SPIATO”
RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

Evoluzione permanente

“Mentre il mondo va a farsi fottere io me ne fotto del mondo e faccio
il cazzo che mi pare”. Sembra essere questa la sintesi del pensiero
post adolescenziale contemporaneo neetiano (ovvero quello dei
“ragazzi” che né studiano né lavorano né tantomeno se lo cercano,
un lavoro). Eppure – al di la di ogni ragionevole interpretazione che
dovrebbe scaturire da un’analisi sociologica fondata su quel pensiero,
il cui riferimento non può non essere indirizzato alla recente tragedia
avvenuta in una discoteca nei pressi di Ancona – vivendo in una società
così interconnessa, cosmopolita, etnografica (per usare un termine
consono all’argomento) le domande sul perché qualcuno avrebbe
“sbagliato” strategia di comunicazione (specie chi è riuscito a
connettere il mondo senza preoccuparsi nella maniera più assoluta
di come il mondo stesso avrebbe poi creato una nuova forma di
solitudine basandosi paradossalmente proprio su tali connessioni
e condivisioni) continuano a stimolare gli approfondimenti, l’ultimo
dei quali – estrapolato da un ipotetico dibattito imperniato sulle
intelligenze artificiali e sul relativo condizionamento generato dal
loro uso – potrebbe rivelare alcuni aspetti “evolutivi”.
Gli attori di questo confronto immaginario sono un antropologo e una
sociologa, i quali vengono interpellati a vicenda da un giornalista che
conduce una trasmissione radiofonica (sempre che per radio si voglia
ancora intendere lo svolgersi della sua originaria e peculiare funzione,
vale a dire quella di far sentire nell’etere soltanto le voci, non di
divulgare le relative immagini) mediando il contraddittorio.
L’antropologo (A) è infatti schierato contro le intelligenze artificiali
mentre la sociologa (B) è a favore. Il giornalista (C) inizia così con il
chiedere ad A le motivazioni del suo dissenso e A, da un punto di vista
razionale, risponde che così come tutte le nuove tecnologie anche le
intelligenze artificiali sarebbero utili se fossero orientate verso un
uso limitato ma che invece, grazie al loro abuso, hanno sollevato e
continueranno probabilmente a sollevare problemi etici insormontabili.
Alla stessa domanda B risponde che è proprio grazie ad un uso
compulsivo delle intelligenze artificiali che siamo riusciti ad avere
una percezione trascendente l’etica e la morale e che di conseguenza,
qualora dovessimo in un futuro nemmeno troppo lontano trovarci
nelle condizioni di essere costretti a usarle per esempio per
spostarci in altri luoghi o addirittura per salvare vite umane,
sarebbero le nostre uniche risorse, le nostre sole vere collaboratrici.
Poi C chiede ancora a B cosa ne pensa dell’uso che i social media
fanno delle intelligenze artificiali e perché secondo lei sempre più
giovani ne vengono attratti, e B risponde sostenendo che lo stimolo
proposto dalle intelligenze artificiali è di gran lunga superiore
rispetto a quello propinato da chi interagisce di persona a proposito
di determinati argomenti e che – come in ogni grande operazione di
marketing che si rispetti – i social media, intercettando i desideri
degli utenti e anticipando ciò che il futuro non potrà fare a meno di
offrirci, non hanno fatto altro che adeguarsi a conformare e a
predisporre la realtà del comando vocale o quella ormai obsoleta
del touch screen in ciò che i nativi digitali ormai cresciuti considerano
già come prossima, ovvero come una realtà che non potrà più
esimersi dal prescindere né da quella virtuale né da quella aumentata
in quanto gli effetti che lo studio sulle neuroscienze causerà alle
nuove generazioni determineranno inevitabilmente gli scambi
comunicativi di domani e che pertanto (come del resto è sempre
avvenuto) l’essere umano comunicherà con gli strumenti creati
e messi a disposizione del mondo intero a seconda del livello di
evoluzione raggiunto. Se però il livello o grado di evoluzione raggiunto
– replica A – comportasse una perdita generale del sistema
comunicativo in termini di condivisione, una perdita dovuta a una
mancanza di stimoli sensoriali causata proprio dall’assenza di
interazione umana che, per paradosso, nella maggior parte dei casi si
rifiutasse di usare i social media per comunicare, chi risulterebbe più
obsoleto, le intelligenze artificiali, oppure gli eventuali fruitori di
altri mezzi di comunicazione ? A seguito dell’eloquente ilarità
espressa da B, C domanda perciò ad A in che modo potrebbe essere
fattibile una simile inversione di tendenza considerata la percentuale
di utenti social suddivisa in tutto il mondo e A, per dimostrare meglio
la sua tesi, fa un paragone molto semplice, quello delle intelligenze
naturali : elencando in sintesi i più disparati metodi comunicativi che
si sono susseguiti dalla preistoria fino ai giorni nostri giunge alla
conclusione che, così come sono nati, i social media potrebbero anche
scomparire a causa della consapevolezza di una maggioranza di
utenti, i quali, sapendo che il concedere spontaneamente i propri dati
personali ha implicato di fatto e nel tempo la perdita totale della
privacy, preferirebbero tornare ad usare sistemi di comunicazione
meno invasivi, includendo nell’orientamento di preferenze l’evitare di
usare degli algoritmi che simulano l’attività della rete neurale.
Questa rimane una sua convinzione – ribatte immediatamente B –
anche perché, ad oggi, la stragrande maggioranza di utenti (non solo
social) ha già modificato in modo irreversibile il loro modo di agire,
trasferendo in Rete tutta quella parte di proprietà intellettuale che
anche volendo non potranno più cancellare e che quindi costringerà
i garanti della privacy a fare delle scelte ben precise circa l’analisi
dei dati personali offerti, scelte di mercato, l’unico vero modello di
indirizzo socioeconomico che si sia sempre in effetti studiato
e seguito.