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23 Luglio 2018
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13 Agosto 2018
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Decreto salva Tories

“L’0SSERVATORE SPIATO”
RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

Decreto salva Tories

Di che cosa dovrebbe essere più importante parlare, della questione
grandi opere sapendo che le visioni socio economiche della
maggioranza di governo porteranno a una matematica e prematura
crisi istituzionale, oppure della stessa questione sapendo che sia
l’alta velocità che i gasdotti porteranno si dei benefici in termini di
utenze e di occupazione, ma che al tempo stesso causeranno non
pochi problemi all’ambiente circostante e favoriranno per forza di
cose l’espandersi delle attività della criminalità organizzata?
Del perché le posizioni espresse dai conservatori in ambito lavorativo
siano sempre state a favore della costruzione di grandi opere, o del
perché le posizioni espresse da i laburisti siano sempre state contro?
(prendendo l’Inghilterra invece che gli U.S.A. come parametro di
paragone per cercare di capire chi avrebbe sbagliato e chi no)
Di come una ragazza di colore sia stata colpita da un lanciatore di
uova mentecatto sapendo che il dibattito mediatico avrebbe poi
fomentato il clima d’odio e di razzismo che si respira in questi giorni,
oppure dello stesso argomento sapendo che sono degli episodi di
cronaca che si commentano da soli (a prescindere dal colore della
pelle della vittima) ma che vengono affrontati apposta per distrarre
l’opinione pubblica – in primis quella che si espone sui social media –
dalle “cose che non fanno notizia” strumentalizzando di fatto delle
tematiche quotidiane per scopi (comunque) politici?
Di solito un servizio di pubblica utilità lo si riconosce quando offre,
o meglio, quando è in grado di offrire un’assistenza valida,
proporzionata alle competenze del settore di riferimento, quando
però sono gli stessi servizi a diventare obsoleti il solo modo per
continuare a beneficiare dell’offerta è quello di rivolgersi alla
concorrenza. Ora, è vero che tra gli abissi degli oceani di informazione
che esistono ovunque nel mondo ognuno è libero di scegliere la fonte,
così come è altrettanto vero che il suffragio universale è un diritto
che tutti hanno acquisito (grazie a delle battaglie fatte da pochi) ma a
questo punto della Storia non sarebbe forse arrivato il tempo –
considerata la saggezza e l’acume dimostrati in tutti questi secoli
dalla maggioranza delle classi per così dire di facile orientamento – di
commissionare un esame per gli aventi diritto all’informazione, una
sorta di quiz articolato di cultura generale, insomma un test fatto a
domicilio imperniato su delle conoscenze di base da dover superare
prima di poter scegliere il giornale o la rivista che si occupa di questo
piuttosto che di quell’argomento? Al di là di ogni congettura – implicita
nella provocazione della domanda stessa, malgrado potrà far
sorridere l’idea di una simile iniziativa imposta all’editoria per
cercare di arginare il dilagante fenomeno di distrazione di massa –
è utile ricordare che una parte rilevante della stampa nazionale
(quella conservatrice, specie quella che ancora riceve i finanziamenti
statali) potrà soltanto essere un servizio mirato esclusivamente a
creare crisi istituzionali non richieste, e che pertanto sarebbe il caso,
forse, di cominciare a prendere in considerazione l’idea che un giorno
la maggioranza di governo possa approvare un provvedimento che
vieti pure l’abuso di certi privilegi (finanziare con fondi pubblici delle
testate giornalistiche al fine di orientare le opinioni è già di per sé
uno spreco che andrebbe, se non altro, riformato in Parlamento)
oltre che la pubblicità ai giochi d’azzardo, che secondo le opposizioni
sarebbe un deterrente in primo luogo inutile (perché chi ha intenzione
di giocare lo farebbe lo stesso) e in secondo dannoso (perché finirebbe
con il dimezzare le entrate dell’erario) invece che una misura
precauzionale per combattere i problemi inerenti la ludopatia.
Dunque di che cosa dovrebbe essere più importante parlare, di come
il cosiddetto decreto dignità (approvato di recente dalla Camera dei
Deputati) sia ancora al vaglio di quegli elettori che si sono sentiti
traditi dalle promesse fatte in campagna elettorale, oppure di come
questo decreto (ribattezzato disoccupazione dalle opposizioni) non
abbia reintrodotto il famigerato art.18, che anzi, è stato votato
addirittura contro dalla stessa maggioranza?
In sintesi il decreto dignità dice che, primo, le aziende che ricevono
aiuti da parte dello Stato non potranno più delocalizzare – pena, una
sanzione di quattro volte superiore ai contributi ricevuti – secondo,
che scoraggia le aziende ad assumere con contratti a tempo
determinato (che non potranno avere una durata superiore a 24 mesi
e che potranno essere rinnovati al massimo quattro volte) terzo, che
per i lavoratori licenziati senza giusta causa l’indennizzo potrà
essere pari a 36 mensilità, e in ultimo (in ordine di priorità) che
impone la fine del cosiddetto split payement, ovvero quel meccanismo
secondo cui le pubbliche amministrazioni versano l’I.V.A. direttamente
al fisco e non al fornitore che ha emesso la fattura.
Il fatto poi che le opposizioni, così come la suddetta stampa menzionata,
si possano sentire in dovere di manifestare il proprio dissenso nei confronti
di un simile decreto (un dissenso per altro molto pacato, tanto nei toni
quanto nei contenuti) è legittimo, sia da un punto di vista critico che
da un punto di vista consociativo : dal primo perché, essendo
finalizzato a costruire invece che a distruggere non potrà che
giovare all’operato del governo, e dal secondo perché il loro innato
spirito conservatore non potrà far altro che costringerli ad
ammettere che coltivando da uno stesso terreno delle piante diverse
alla fine della fiera ci si convincerà che è a volte cambiare idea
è proprio meglio.