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Confronto a distanza

“L’OSSERVATORE SPIATO”
RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

Confronto a distanza

L’induzione a concedere spontaneamente i propri dati ai
colossi delle piattaforme digitali – che non hanno posto alcuna
condizione per farlo, se non quella di costringere gli utenti ad
adeguarsi a questo cambiamento epocale del e sul modo di esprimersi
e di comunicare – è stata la più grande operazione di vendita mai
realizzata sulla faccia della Terra, è inutile negarlo o cercare di
formulare delle antitesi altrettanto sintetiche per confutarlo,
e come in ogni complessità che si rispetti il tentare di approfondire
la questione analizzandone gli aspetti contraddittori comporta
sempre una non facile consapevolezza. Parole come condivisione,
interazione, connessione, sono alla base del successo di queste
piattaforme che hanno avuto il pregio nonché le competenze di
mettere in contatto il mondo intero e che pertanto meritano il
riconoscimento unanime di miliardi di persone. L’aspetto critico però
ha cominciato a delinearsi quando i vari direttivi delle aziende
vincolate in qualche modo a queste piattaforme hanno “consigliato”
agli utenti di passare la maggior parte del loro tempo a capire come
fare per migliorare la loro performance online allo scopo o di creare
da zero una propria identità in Rete, oppure di consolidarne una
congenita reputazione. Con ciò non si vuole certo insinuare che
esistano delle analogie con i promotori del marketing 3.0 – la
pubblicità basata sulle neuroscienze che induce il consumatore ad
acquistare un prodotto tramite la conoscenza dello stesso (da parte
del venditore) delle sue preferenze nonché dei suoi automatismi
decisionali – ma si intende esclusivamente segnalare l’abuso del furto
d’identità che quel metodo pubblicitario avrebbe nell’influenzare
l’impulso all’acquisto, qualora fosse attuato con una certa
perseveranza : se chi professa il marketing 3.0 si considera
addirittura un umanista (pensando di coinvolgere il consumatore
condizionandolo attraverso strumenti neuro scientifici che
consentono di mappare le preferenze dello stesso a livello neuronale,
registrandone perfino le reazioni cognitive) allora è proprio il caso
di ricordarlo a tutti quelli che ancora riescono a pensare con la
propria testa – verrebbe spontaneo dire. Per una sorta di autocritica
invece – autocritica intesa come forma mentis simile al rifiuto di
accettare a priori quel metodo pubblicitario – occorre dire che
essendo quasi sempre risultato sterile lo scontro ed il confronto
sul tavolo inerente a queste tematiche, la stragrande maggioranza delle
persone ha sempre dimostrato un atteggiamento fatalista nei confronti
delle neuroscienze, così come per altro per le intelligenze artificiali,
di conseguenza, i contenuti satirici, sarcastici, i pamphlet e via discorrendo,
usati da i più convinti sostenitori dell’anti omologazione sociale,
hanno contribuito a vanificarlo (il confronto) limitandosi ad assistere
allo “spettacolo” in atto. A prescindere dall’argomento trattato, un confronto
dovrebbe basarsi sulla sostanza – non sulla sintesi o, peggio, sulla
falsariga di ciò che si presume di conoscere – ed è proprio su questo
punto che chi sostiene e ostenta trasparenza in ogni sua scelta o
dichiarazione pubblica viene scambiato per un leader politico, mentre
invece in realtà chi tiene in mano le redini di un governo democratico
tende ad esporsi il meno possibile, e anche se è banale ricordarlo
bisogna farlo lo stesso per non dimenticarlo mai. In buona sostanza
dunque, per entrare nel merito di un ipotetico confronto tra un
sostenitore del marketing 3.0 e un suo oppositore a proposito di un
argomento così delicato come la privacy dell’individuo, bisognerebbe
intanto prendersi il tempo necessario per fare delle riflessioni e poi
stabilire quale linguaggio usare per poter essere compreso da tutti
indiscriminatamente. Supponendo che il dialogo avvenisse a mezzo di
un’intervista che il sostenitore (un noto e influente personaggio
appartenente a quella sfera professionale) facesse al suo oppositore
(un anonimo attivista politico, se così lo si volesse definire) lo
scambio delle contrapposte visioni non inciderebbe comunque più di
tanto nelle convinzioni dei rispettivi schieramenti che si andrebbero
inevitabilmente a formare, perché chi opera in quel settore (e non
solo) non avrebbe alcun interesse a condividere le tesi dell’oppositore
e soprattutto perché l’oppositore risulterebbe per chi è in realtà,
indipendentemente dalla sua eloquenza : questo è un dato di fatto
oggettivo, il riconoscerlo si limita a sottolinearne l’evidenza.
Il generare e divulgare deliberatamente questi fatti oggettivi al solo
scopo di annichilire le minoranze è però cosa ben diversa.
E’ vero che le ipotesi di questo genere – suffragate dalle minoranze
per cercare di avere in qualche modo voce in capitolo – lasciano il
tempo che trovano, ma è pur vero che nel momento in cui diventano
cronaca (basta sintonizzarsi su un qualsiasi canale multimediale per
accorgersene) è possibile rendersi conto di quanto rispecchino i
principi fondanti di omologazione sociale. Che di questi tempi la
privacy dell’individuo sia diventata materia di estrema importanza
è risaputo, il fatto però che i garanti della stessa continuino a non
rispettarla è inaccettabile – per questa ragione i confronti su temi
così delicati andrebbero visti con maggior interesse, a tutela sia
dell’utente che dei colossi delle piattaforme digitali.