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Concezione immacolata

“L’OSSERVATORE SPIATO”
RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

Concezione immacolata

Invece di andare avanti si torna indietro, invece di pensare che prima
o poi inevitabilmente – e non soltanto in Italia, ma anche in molti altri
Paesi europei – l’effetto della ormai quasi totale mancanza di fondi
causato da una recessione voluta con forza dalle stesse istituzioni
europee non potrà che portare ad una rivolta sociale senza
precedenti, si pensa al progresso come a qualcosa che deve per
forza passare attraverso gli investimenti che secondo diversi
osservatori porterebbero alla crescita e allo sviluppo di ogni singolo
paese membro dell’UE. Se oggi il famigerato differenziale tra btp
italiani e bund tedeschi terrorizza famiglie e imprese a causa degli
investimenti fatti con la moneta europea, perchè all’epoca
dell’affiancamento lira/euro, marco/euro non provocò lo stesso
identico tragico terrore ? Che ognuno debba poter fare il proprio
lavoro è legittimo, tant’è che queste tematiche andrebbero
affrontate in privata sede dagli economisti, per quale ragione però
le opinioni degli stessi addetti ai lavori sarebbero diametralmente
opposte considerato che – anche se è banale ricordarlo – il sistema
monetario europeo non è basato su un’unione politica antecedente
tale sistema ? Mettiamola così, personalmente (personalmente
inteso come voce univoca di un comune dissenso) se in questo preciso
istante io avessi il piacere oltre che l’onore di avere il contraddittorio
in un dibattito pubblico, il mio ipotetico interlocutore di turno mi
direbbe soltanto di attenermi ai fatti (se questi non lo sono ditemi
voi quali dovrebbero essere) oppure nella maggior parte dei casi
nemmeno mi farebbe parlare ? Qualche giorno fa a Torino si sono
riuniti tutti i rappresentanti del mondo dell’imprenditoria industriale
per manifestare la propria visione di prosperità, di volontà nonché di
determinazione nel portare avanti le misure di investimento che
secondo loro dovrebbero far ripartire l’economia e di conseguenza
la crescita occupazionale e lo sviluppo sostenibile. Qualcuno, mosso
da un – a suo modo di vedere – giustificato risentimento, ha dichiarato
addirittura di aver perso la pazienza visti i ripetuti dinieghi da parte
del governo nel concedere le autorizzazioni necessarie alla
realizzazione della grande opera (inutile dire quale) e che dunque è
giunto il momento di andare avanti senza se e senza ma.
E’ opportuno ricordare a tal proposito che in casi come questi la
pazienza è la virtù dei forti, e che tutto sommato non solo da oggi –
giorno in cui una delle interminabili manifestazioni no TAV si svolgerà
proprio a Torino – ma da sempre, tutti gli attivisti (da i partecipanti
ai non partecipanti per cause di forza maggiore, astensionisti
compresi) hanno contribuito a finanziare le visioni imprenditoriali
di questo piuttosto che di un qualsiasi altro industriale in un Paese
annichilito dalla corruzione, e che pertanto meritano sia il dovuto
rispetto che il vedere che un giorno le nuove generazioni non diventino
vittime degli stessi enormi sbagli commessi da i soliti speculatori,
pluri indagati, condannati prosciolti e nuovamente condannati,
concussi, e corrotti che continuano a chiedere soldi allo Stato mentre
lo Stato continua a fingere di fare gli interessi del popolo. Con ciò non
si vuole certo insinuare che tutto il mondo dell’imprenditoria oltre
che naturalmente della politica appartenga alla categoria dei suddetti
benefattori, si vuole solo intendere che per evitare di confondere la
demagogia con il populismo (rischiando di far passare quella
paradossale concezione che chi sceglie di fare politica lo fa
esclusivamente perché vuole aiutare a migliorare le condizioni della
collettività) sarebbe indispensabile orientare gli investimenti
laddove le priorità lo esigessero, a partire proprio dalla tutela
dell’ambiente circostante – che ormai è diventata emergenza allo
stato puro, indipendentemente da una “semplice” revisione dell’analisi
costi/benefici sia chiaro. In ballo oggi non c’è soltanto il confronto di
visioni diametralmente opposte (si TAV = futuro, occupazione,
prosperità / no TAV = passato, disoccupazione, instabilità politica)
e viceversa, sono gli stili di vita che si dovrebbero cambiare qualora
si volesse davvero progredire, se non altro per evitare che la platea
dei meno abbienti riesca ad organizzarsi in modo tale da fare un colpo
di Stato vero e proprio, militare prima che politico. Qualcuno – anzi,
con una certezza che oserei dire assiomatica sono una cospicua
maggioranza quelli che pensano che questa sia una visione apocalittica
e catastrofista, surreale (per parafrasare proprio quel qualcuno) –
è convinto che a furia di dire no a tutto stiamo mettendo in pericolo
il futuro dei nostri figli che sono costretti ad andare all’estero per
trovare un lavoro che qui da noi pare essere scomparso, un lavoro
che in un Paese come il nostro (dove la tassazione è quella che è)
è stato non soltanto messo in condizione di venire evaso fiscalmente
da un sistema tributario obsoleto, ma che è stato e che purtroppo
continua ad essere fondato su sedicenti competenze e squallide
raccomandazioni invece di essere preservato come principio
dell’art 1 della Costituzione, e che proprio in virtù di questo concetto
chi sceglie di fare politica dovrebbe conoscere a memoria tutti gli
articoli della Costituzione (non solo il primo) così come un chimico
dovrebbe conoscere a memoria le formule e via discorrendo.
In tal senso orientare gli investimenti – è banale ma sempre utile
ricordarlo – è fondamentale : i tanto vituperati tagli alle spese per
l’informazione – che dovrebbe essere considerata un diritto del
cittadino e non uno spreco quando entra nei palazzi del potere per
fare conoscere a tutti di che cosa si sta discutendo in Parlamento –
non sono però giustificati, in quanto non solo ledono il pluralismo,
ma anche perché acuiscono il già popolare malcontento di chi pensa
che chi prende sovvenzioni statali per diffondere notizie private
(di partito) non possa più in alcun modo giustificarsi e che pertanto
chi dovesse pensarla così si sentirebbe in dovere di inveire contro
quel genere di informazione. Un conto comunque è informarsi tramite
questi canali, altro conto è invece farlo attraverso chi avalla gli
inqualificabili comportamenti di qualcun’altra, che in aula
parlamentare non ha esitato a lanciare il suo “j’accuse” contro una
manovra economica dopo essere stata la protagonista in prima
persona di uno scandalo che, per quanto riguarda la corruzione, negli
annali storici rimarrà emblematico. Ed è proprio in questo senso che
emergono tutte le responsabilità di uno Stato che non ha ancora
saputo (o voluto?) tagliare laddove avrebbe davvero dovuto tagliare,
ovvero non finanziare più con fondi pubblici gli strumenti di
propaganda ininterrotta – trasmissioni televisive predisposte alla
distrazione di massa riconducibili ad un “inesistente” e univoco
responsabile quale è lo Stato stesso e propinati tramite il susseguirsi
di bianche legislature – che qualcuno ha pensato bene di
strumentalizzare fomentando la concezione di ambire a facili
guadagni, “costringendo” i più a cambiarlo si il loro stile di vita –
devastando però anche quello di tutti gli altri, uno stile di vita
ineccepibile sotto ogni punto di vista nato apposta per inculcare
nella maggioranza dei fruitori attivi di tale stile quella concezione per
cui il lavoro non debba essere visto tanto come un sacrificio quanto
come un “privilegio”, ovvero come una vendita irresponsabile della
propria immagine e della propria dignità.