L’oro e noi
16 Ottobre 2018
IV Novembre
4 Novembre 2018
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Chi va piano oggi è solo strano

“L’OSSERVATORE SPIATO”
RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

Chi va piano oggi è solo strano

Così come un cancro si forma e cresce all’interno di un corpo
distruggendo velocemente le cellule sane con l’unico scopo di colpire
a morte certa (nella maggior parte dei casi) le vittime predestinate,
anche la spettacolarizzazione dello spettacolo sta cancellando quel
che resta dell’abitudine all’osservazione più imparziale.
Lo spettacolo inteso non come intrattenimento vero e proprio, ma
come esigenza dettata da quell’irrefrenabile impulso ad esibire
un’abietta noncuranza verso il prossimo che porta ad espletare le
necessità fisiologiche in pubblico piuttosto che in privato perché in
privato non verrebbero considerate abbastanza redditizie, ovvero
quello che sta appunto cancellando ciò che resta dell’abitudine ad
osservare ciò che ci circonda con imparzialità, è ancora purtroppo
un male endemico – nel senso che per risultare incurabile a tutti gli
effetti dovrebbe poter estendersi a delle fasce ancora più ampie di
pubblico e forse soltanto allora, paradossalmente è ovvio, potrebbe
esserci un’inversione di tendenza (sia di ascolti che di relativi
interessi). Nel caso dei vari reality, talent e talk show che si sono
susseguiti e che si susseguiranno con il nulla osta dei maggiori
network internazionali (che a loro volta saranno incentivati da
i rispettivi governi a divulgarli) il percorso che si è dovuto fare per
raggiungere l’attuale risultato in termini di indice di gradimento è
stato abbastanza veloce, tenendo anche conto che fino a 30 anni
fa nemmeno esistevano queste categorie di format televisivo
(anche se bisogna pur ammettere che l’ultima delle tre in fondo c’è
sempre stata). Per quanto riguarda invece la divulgazione di certe
produzioni cinematografiche, così come di certe fiction oppure di
certe pièce teatrali anche (che in realtà si dovrebbero pronunciare
al plurale, fiction e pièce, ma che per una comune accezione del
parlato vengono intese al singolare) insomma, per tutte quelle scene
che rispecchiano l’ordinaria sequenza di un vissuto sempre più
consacrato all’era dell’immagine, ci è voluto un po’ più di tempo –
nel senso che già agli albori della neonata televisione, per chi veniva
ripreso da delle telecamere, stava iniziando un iter di esaltazione
ingiustificata imposto “dall’obbligo” di avere per forza di cose quel
profilo iconico che con il passare del tempo sarebbe poi diventato
indelebile. In un’epoca in cui il creare occupazione garantendo
crescita e sviluppo sostenibile viene concepito come l’obiettivo
prioritario di ogni governo democratico, è ridicolo e al tempo stesso
penoso dover accettare il fatto che esistono delle professioni
(perché così vengono definite) che inducono la maggior parte delle
persone che non hanno voglia né di studiare né tantomeno di
lavorare a seguire addirittura un percorso formativo per poter
partecipare anche loro, così come i loro più illustri predecessori,
come ospiti a dei programmi televisivi a dir poco imbarazzanti
(senza contare che qualcuno è perfino diventato il portavoce di
una forza politica che gode della maggioranza in Parlamento).
In buona sostanza bisogna saperla sparare grossa, più la si spara
grossa, la bufala, è meglio è (per tutti, beninteso) : in questo caso,
per esempio, se chi scrive si fosse limitato a dire che ci sono in
effetti delle persone che non hanno voglia di studiare né di lavorare,
senza aggiungere che tali “professioni” indurrebbero a seguire un
percorso formativo per poter partecipare a quei programmi
televisivi forse sarebbe risultato più credibile, eppure, causa la
fretta di voler esprimere tutto il suo sdegno nei confronti di quei
programmi è andato oltre e l’ha sparata grossa. In altri casi forse
non è così, o forse è ancora peggio, sta di fatto che c’è sempre stata
troppa fretta nel cercare di fare informazione, così come nel cercare
di governare, oppure di svolgere una qualsiasi attività remunerativa
che implicasse delle conoscenze basilari per venire incontro alle
esigenze sociali più impellenti senza dover finire con il dimostrare
null’altro che potesse essere inteso come uno strumento immanente
alla demagogia. Tutta questa fretta però da cosa sarebbe causata,
se non dall’ambizione di dominio e di sopraffazione insita un po’
ovunque e in chiunque ? Ma soprattutto dove ci condurrà questo
genere di ambizione considerando, giusto per fare un altro esempio,
che la distinzione tra il mondo reale e quello virtuale non è ancora
stata assimilata da una parte alquanto numerosa di nativi digitali
(tant’è che proprio in questi giorni a Piacenza diversi adolescenti si
sono dati appuntamento attraverso i social per picchiarsi di santa
ragione senza alcun apparente motivo particolare se non quello di
emulare le gesta di un film come “Fight club”) ? In buona sostanza
perché, prima di fare assurde dichiarazioni – indipendentemente dal
ruolo sociale che si ricopre – non ci si prende il tempo necessario per
riflettere, anche a costo di fare una pessima figura per averci messo
troppo tempo per farlo ? Come si può pensare di dire in pubblico che
il progresso non può e tantomeno non potrà che passare attraverso
la realizzazione delle grandi opere e delle sue relative infrastrutture
se quelle stesse opere (edificate nella stragrande maggioranza dei
casi con criteri speculativi, tant’è che i ponti costruiti in epoca
romana rimangono ancora in piedi a dispetto di quelli costruiti oggi)
sono state e continueranno purtroppo ad essere causa di morte e di
dissesto idrogeologico ? E con ciò non si vuole certo dire che
nell’antica Roma non si speculasse realizzando comunque grandi
opere, ma si intende semplicemente segnalare che oggi per
realizzarle occorre rispettare dei tempi troppo stretti :
basti pensare che in Cina è stato di recente aperto un ponte costruito
in nove anni (sul mare) lungo 55 km che collega Macao, Zhuhai e Hong
Kong e che è stato pubblicamente dichiarato dal Presidente della
Repubblica Popolare Cinese che quel ponte durerà addirittura 120
anni – nonostante ce ne abbiano messi due in più per farlo, rispetto
alla scadenza prevista – e che dunque sia ragionevole pensare che se
ne costruissero un altro in sette anni, che collegasse direttamente
Pechino con Washington, potrebbe durare per l’eternità oltre che
naturalmente portare la tanto da tutti agognata pace nel mondo.
Ironia a parte, la cosa più triste in tutta questa riflessione sulla
fretta di dover in qualche modo pur rispondere a delle domande
fondamentali per la sopravvivenza della nostra stessa specie – una
delle quali potrebbe essere, tanto per fare l’ennesimo esempio,
quanto dureranno le risorse naturali di questo pianeta, saremo in
grado di renderle illimitate ? – è che, per assurdo, l’obbligo di
ironizzare su queste tematiche non può far altro che favorire il
pensiero di chi crede che il progresso debba per forza di cose
passare attraverso la realizzazione di grandi opere, dimenticando
e soprattutto omettendo che basterebbe far funzionare meglio quelle
esistenti per ottenere crescita e al tempo stesso occupazione –
oltre che riappropriarsi di quell’abitudine ad osservare la realtà in
modo semplice e oggettivo.