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Battista di battisti

“L’OSSERVATORE SPIATO”
RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

Battista di battisti

Alla luce della recente cattura di un assassino, avvenuta in Bolivia,
e della conseguente e immediata sua estradizione in Italia dopo 40
anni di latitanza, la domanda di fondo che per ovvie ragioni resta
senza risposta ma che continua a ronzare nella testa di chi il
terrorismo lo ha vissuto in prima persona (sia ad opera degli
esecutori materiali rossi che da quelli neri) è sempre la stessa :
perché la strumentalizzazione politica dovrebbe impedire che la
giustizia faccia il suo corso evitando di svelare gli inconfessabili
retroscena delle vicende legate a determinati omicidi (retroscena
che altro non sono che capisaldi “morali” del modo di fare politica,
ovvero di come poter e dover condurre le trattative con l’esecutivo
della criminalità organizzata) ? Intanto, il fatto che lo si chiami
assassino invece che terrorista implica una connotazione in termini
economici e sociali, in termini economici perché, se fosse vero che
certe dichiarazioni di parte dovessero subire un calo rispetto alle
convenienze dimostrate per coerenza, sarebbe ancora più vero che
le incoerenti dichiarazioni dimostrate dalla parte avversa in più
occasioni per coprire evidenti stragi di Stato incrementerebbero un
aumento – stando sempre e comunque alla convenienza politica –
quindi si finirebbe con il non finir più di biasimare gli
estremismi, cosa questa che per altro è sempre avvenuta e che
dunque ne giustifica la logica economica, mentre invece in termini
sociali perché tra un assassino e un terrorista ci sarebbe una
differenza abissale che soltanto gli intellettuali di una certa fazione
riuscirebbero a tradurre e a far capire ai più con un linguaggio chiaro,
semplice e diretto, ovvero con quello di poter essere ancora in grado
di richiedere l’amnistia per un pluriomicida che ha goduto prima in
Francia e poi in Brasile di una meritata immunità (del resto è strano
come all’epoca della guida politica carioca più influente degli ultimi
anni non sia stata data la possibilità a questo pluriomicida di condurre
la pagina culturale di “O Globo”) e dunque perché, dal punto di vista
sociale, sarebbe sempre meglio far passare l’idea che sia molto più
pericoloso il terrorismo nero di quello rosso, specie oggi.
Mai come oggi viene avvertita dalla maggioranza degli organi di
stampa nazionale una deriva autoritaria fascista, mentre in realtà
la sola cosa che in qualche modo potrebbe evocare il ventennio
mussoliniano sarebbe ancora tutto sommato il tricolore (vista la
ricorrenza, anche perché se tutto dovesse dipendere dalle scelte/
esibizioni dell’attuale Ministro dell’Interno il prossimo Presidente
del Consiglio sarebbe probabilmente un capomafia). Eppure c’è perfino
chi tra questi intellettuali si è inventato il cosiddetto “Fascistometro”
– una sorta di test per misurare quale grado o livello di fascismo si
raggiungerebbe qualora si dovesse rispondere a delle domande
provocatorie fatte apposta sia per pubblicizzare il libro della stessa
autrice che per fornire i dati degli utenti al gestore del sondaggio,
in pratica una schedatura bella e buona per gli idioti che si sono presi
la briga di rispondere. Strano pure che a qualche altro intellettuale
(di fazione opposta) non sia ancora venuto in mente di redigere
un’analoga nonché vana “proposta propositiva” nell’era del
“Comunistitico” – verrebbe da chiedersi. In sintesi chi è fascista lo è
perché non può vedere e perché non sopporta il diverso, temendolo,
e chi è comunista lo è perché non può vedere e perché non sopporta
l’uguale, fingendo di tutelarlo, e purtroppo, riflettendo sulla verità
di questa sintesi, non può che emergere la causa scatenante che da
sempre genera scontri ideologici (sebbene si continui a dire che le
ideologie sono superate) e conflitti senza fine, vale a dire il germe
del razzismo – che è insito in chiunque. Ma questo germe necessita
di essere continuamente spiegato e approfondito per poter diventare
cibo dell’anima e nutrire tutti con una dieta salutare, nell’immaginario
collettivo. In sostanza, non parlando in senso metaforico, se ne parla
troppo pubblicamente quando invece è in privato che se ne dovrebbe
discutere, sempre. Chi potrebbe dire di non odiare il suo oppressore,
chi sarebbe in grado oggi di sacrificare la propria vita per difendere
la causa in cui crede sapendo che il suo sacrificio non servirebbe
altro che a riempire le pagine di cronaca ? Chi intendiamo ricordare
oggi, gli eroi oppure gli oppressori ?