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“L’OSSERVATORE SPIATO”

RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

 

 

 

 

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Immaginare un’era post tecnologica dove le intelligenze artificiali

costringano gli individui a guardarsi negli occhi per più di un minuto

consecutivo prima di iniziare ad instaurare un qualsiasi rapporto

interpersonale, a prescindere dal pregiudizio implicito che si verrebbe

a creare una volta che – per esempio – il riconoscimento facciale

avesse generato qualcosa che diventi complementare a una privacy

ufficialmente estinta (un archivio telematico contenente la biografia

del soggetto in questione, oltre che i dati personali, in pratica

estendendo l’operato dei servizi segreti per spiare e controllare

meglio tutti) potrebbe aiutare a capire gli errori connessi al mondo

della comunicazione, che hanno indotto l’immaginario collettivo a

considerare – sempre per esempio – i reality show come dei fenomeni

del tutto naturali, che rispecchierebbero i costumi e le abitudini di

una società destinata a soccombere a una realtà così avvilente?

In primo luogo va detto che un uso appropriato delle nuove tecnologie

dovrebbe essere il primo passo verso quel genere di contributo :

orientare i nativi digitali (e non solo) a non dipendere esclusivamente

da Internet per ottenere qualsiasi informazione sarebbe già una

conquista mirata a debellarne gli abusi, poi, va da sé che l’onere più

complesso spetterebbe agli eventuali inventori di un sistema di

interazione così paradossale (fermo restando che le scarse

probabilità di approvazione e di ratifica in decreto legislativo che lo

riguardasse da vicino sarebbero pressoché scontate).

Eppure, per scongiurare un controllo totale da parte di apparati molto

sofisticati (governati da algoritmi) che deciderebbero il da farsi in

completa autonomia qualora venissero riconosciuti come fenomeni

del tutto naturali, senza più bisogno di alcun intervento umano –

si pensi soltanto all’economia domestica elaborata in programmi

inseriti nel frigorifero di casa – è diventato indispensabile ragionare

in questi termini. L’evoluzione tecnologica – purtroppo o per fortuna –

è inarrestabile, ed è proprio per questo motivo che si accettano

condizioni illusorie, che favoriscono l’omologazione e che continuano

a confondere le necessità con il superfluo, per questo occorre

intervenire con dei provvedimenti governativi educando l’uso

corretto degli strumenti messi a disposizione, ponendo dei limiti oltre

cui si intercorrerebbe in sanzioni disciplinari e amministrative nel

caso venissero superati (evitare di caricare gli zainetti degli alunni

con dei voluminosi e pesanti libri di testo quando si può benissimo

disporre di un materiale didattico digitale, che per fortuna è già

contemplato in molte scuole, è forse tra gli esempi più banali che si

possano fare per rendere l’idea di come si dovrebbe orientare tale

uso, alla stregua del mancato sequestro dei cellulari prima dello

svolgimento di ogni lezione, che purtroppo invece non è ancora

entrato a far parte degli oneri dei docenti, che da l’idea di come

l’abuso sia perpetrato senza aver fatto alcuna riflessione in merito).

La rivoluzione digitale messa in atto negli ultimi trent’anni ha

cambiato molte prospettive, bilanciando i vantaggi e gli svantaggi in

tutti i settori della stratificazione sociale come in ogni rivoluzione

che si rispetti. Ciò che però non è ancora riuscita a cambiare –

malgrado i motori di ricerca si siano eretti a vere e proprie Bibbie

del sapere monopolizzando la veridicità di qualsiasi informazione –

è la memoria consuntiva fine a sé stessa, ovvero quel genere di

ricordi che a posteriori (paragonando l’era analogica vissuta con il

vissuto dell’era digitale) riescono a determinare se ci siano o meno

stati dei miglioramenti o dei peggioramenti. Dunque, regresso oppure

progresso? Alla luce degli ultimi eventi che riguardano l’immigrazione

globale che cosa verrebbe spontaneo rispondere? La prima opzione,

tenendo conto che – nonostante il salvataggio in extremis

dell’Aquarius nel porto di Valencia – il fallimento è e continuerà ad

essere inesorabile non soltanto per le decisioni attuate dal governo

italiano (che a differenza degli altri governi europei si è limitato a

segnalare che gli enormi problemi connessi alle condizioni dei migranti

non sono dei fenomeni del tutto naturali) ma anche perché – in virtù

degli strumenti messi a disposizione dall’evoluzione tecnologica – si

dovrebbe quanto meno cercare di arginare la perdita di vite umane,

oppure la seconda? Se il fiume ininterrotto di proclami inerenti questo

genere di tematiche non ha fatto altro che sconfinare nella retorica

del buonismo, perché ogni volta che il pragmatismo viene menzionato

in un dibattito pubblico i richiedenti asilo di un Paese devastato dalla

guerra di turno non vengono dirottati nei Paesi responsabili, ovvero

in quei paesi che avrebbero “l’obbligo” di esportare la democrazia?