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Fiato alle trombe

“L’OSSERVATORE SPIATO”

RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

Fiato alle trombe

Come disse il fu Bongiorno Mike quando annunciava l’imminente diretta televisiva del suo Rischiatutto – dimostrando al contempo una solidarietà morale condivisa nei confronti del mondo del teatro in un difficile momento come questo – ora più che mai urge una divulgazione solenne, chiara, allo scopo di alfabetizzare i soggetti meno eruditi sul concetto di intrattenimento, specie in uno scenario multimediale in cui tutti (o quasi) sono costretti a rispettare l’altrui offerta. Più che riflettere sulle cause dell’enorme popolarità di un reality show rispetto al successo risicato in termini di audience di uno spettacolo teatrale in presenza o anche in streaming dunque, per altro note a tutti, sarebbe forse il caso di soffermarsi sul modo di veicolare la propria offerta. Prima o poi questo difficile momento passerà, come qualsiasi cosa del resto, ciò che però invece resterà saldamente ancorato all’immaginario collettivo sarà il divario abissale esistente tra le varie categorie di spettatori sul concetto di intrattenimento. Per ridurre questo gap sarebbe pertanto opportuno alfabetizzare lo spettatore seriale di reality, indurlo a cambiare spontaneamente canale sapendo che è un’operazione molto complessa – molto più di quella compiuta 60 anni fa dal maestro Manzi con il suo Non è mai troppo tardi – ma indispensabile, oltre che urgente. Inutile perciò sperare sul sostegno delle Istituzioni governative, che non hanno fatto altro che agevolare la propaganda ininterrotta del nulla multimediale, né tantomeno sulla consulenza dei docenti delle telecomunicazioni, che ultimamente sembrano essersi addirittura adeguati alle regole imposte dai guru del marketing digitale. Quindi, che fare? Il potenziale delle azioni che si potrebbero e che si dovrebbero intraprendere è enorme, ma come al solito c’è di mezzo il condizionale, oltre che l’interazione tra la domanda e l’offerta. Quanto più l’offerta è catalogata e suddivisa in palinsesti televisivi settoriali – in modo tale da garantire una pluralità trasversale di fruizione, tanto più occorrerebbe attivare le risorse per colpire l’analfabeta seriale, distraendolo ogni 4/5 minuti con messaggi promozionali mirati e accattivanti : se sta guardando una cosiddetta gieffina vip che sta facendo una proposta indecente a una sua simile, “scandalizzandola”, non si capisce perchè in sovrimpressione non potrebbe comparire la pubblicità di una compagnia teatrale che sta rappresentando La bisbetica domata in diretta streaming, giusto per fare un esempio, e via discorrendo, sui generis. E anche se si dovesse attendere a lungo il primo effetto causato da un simile attacco – tramite appunto tale bombardamento di marketing al contrario, tenendo oltre modo conto dello sforzo economico che soltanto certe associazioni culturali sarebbero in grado di sostenere – varrebbe la pena provarci, coadiuvando magari lo stesso metodo con l’ausilio delle neuroscienze nel tentativo di ottenere un effetto dirompente perfino in un contesto palesemente omologato quale è quello dei social media. Ma il fatto di investire dei capitali considerevoli su quel genere di marketing potrebbe realmente portare a un ritorno, in termini di audience, auto finanziando in un prossimo futuro proprio quel teatro che dovrebbe quanto meno entrare di diritto nell’immaginario collettivo come fonte di preferenza, visto che il teatro stesso è un eterno intrattenimento? In sostanza : si riuscirebbe a ribaltare il gap esistente che, in una società che si auto definisce civile, avrebbe dovuto essere ribaltato da almeno 40 anni a questa parte, oppure sarebbe il solito buco nell’acqua fatto solo per amplificare paradossalmente l’insopprimibile eco del nulla multimediale? Chi dovrebbe porsi queste domande se non chi, operando nel settore, forse considera questa riflessione come una sorta di appello azzardato e irrazionale? Quando tutto questo pandemico pandemonio sarà passato, a che cosa servirebbe tenere aperti i teatri h 24 per dare modo alle persone di partecipare alla vita reale dei lavoratori dello Spettacolo, se in primo luogo sono le stesse associazioni culturali competenti che non collaborano per far sì che il teatro diventi un vero e proprio servizio pubblico? L’idea in sé, quella di G. Vacis, di tenere aperti i teatri h 24 per dare la possibilità agli spettatori di osservare più da vicino ciò che avviene dietro le quinte, per esempio, sarebbe anche buona per ribaltare il dannato gap, non fosse che un’apertura permanente – specie dei teatri storici – incrementerebbe sì le presenze in un primo momento, data la novità, ma poi, che cosa accadrebbe di concreto all’interno dei teatri? Se tutto il backstage e tutti quei momenti intensi, meravigliosi e irripetibili, che proprio grazie all’assenza di un pubblico pagante si perpetuano sin dalla notte dei tempi e non solo nei teatri – ma ovunque, per fortuna – fossero aperti a tutti e tutti potessero goderne, pensate davvero che le presenze aumenterebbero? E come verrebbero ripartite le retribuzioni degli artisti, dei tecnici e degli organizzatori, se allo Spettatore gli venisse chiesto di pagare (in qualsiasi momento del giorno e della notte) per vedere delle scene che magari avrebbe voluto volentieri anche fare a meno lui stesso di interpretare nel quotidiano? Qualora una simile proposta venisse accettata si potrebbe quasi addirittura parlare di – passatemi il termine – “grandefratellizzazione plateale”, ma questo è soltanto un punto di vista, purtroppo.