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Due pastori, un solo cane

“L’OSSERVATORE SPIATO”
RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

Due pastori, un solo cane

Dopo l’ennesima immane tragedia che si è consumata in mare aperto –
e che purtroppo, a causa di scellerati accordi politici internazionali,
è destinata a ripetersi – nel dibattito pubblico che ruota intorno alla
questione migranti, l’interesse dimostrato da i vari attori coinvolti
cela un’indifferenza vergognosa, tale da far ammettere perfino a chi
apparentemente non avrebbe alcuna colpa di avere una qualche
responsabilità in ciò che sta accadendo, quella responsabilità che si
potrebbe e si dovrebbe ammettere magari cambiando stile di vita,
vale a dire contribuendo a privarsi di determinati piaceri che una
condizione di vita senza dubbio più favorevole consente di avere al
nobile scopo di offrire dei denari a delle associazioni umanitarie che
si assumono l’onere di salvare vite umane in mare aperto oppure di
medicarle sulla terra ferma, scenario di guerre insensate e indicibili.
Se però, da una parte, la trasparenza di bilancio amministrativo delle
ONG (così come per altro delle varie associazioni fondate non a scopo
di lucro) risultasse essere ancora non del tutto chiara, mentre
invece dall’altra parte, i governi europei non riuscissero ancora a
raggiungere un valido compromesso che in futuro possa garantire
un’equa ridistribuzione dei migranti sul territorio, per quale ragione –
visto che la principale causa di questo riprovevole scempio umanitario
riguarda tutti gli Stati e considerato che l’estensione relativa a tale
emergenza non si limita esclusivamente ai confini europei – lo Stato
Vaticano non potrebbe, per una sola volta, non soltanto limitarsi a
partecipare a delle sedute plenarie dell’ONU in veste di istituzione
religiosa, ma unirsi alla lotta contro questa enorme piaga sociale con
il profondo spirito di solidarietà (innato e responsabile) che lo
contraddistingue dagli altri Stati, intervenendo con atti politici
ufficiali, operativi? Secondo le parole pronunciate da Papa
Benedetto XVI nel discorso fatto all’assemblea delle Nazioni Unite in
occasione del viaggio apostolico nella primavera di undici anni fa –
discorso visibile a chiunque, pubblicato dall’Osservatore Romano –
sembrerebbe di no. Vero è che se dagli stralci estrapolati da un
discorso, estrapolati apposta per interpretare e dedurre magari
delle logiche semplicistiche, si potesse facilmente intuire il vano
tentativo di dimostrare qualcosa che non sarebbe possibile
dimostrare, sarebbe altrettanto vero che certe parole non
lascerebbero molto spazio alle interpretazioni – specie quando la
materia trattata fosse una materia così importante come quella dei
dei diritti umani : “Ogni Stato ha il dovere primario di proteggere la
propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani,
come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia
dalla natura che dall’uomo. Se gli Stati non sono in grado di garantire
simile protezione, la comunità internazionale deve intervenire con i
mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri
strumenti internazionali”.
“Il dialogo dovrebbe essere riconosciuto come mezzo mediante il quale
le varie componenti della società possono articolare il proprio punto
di vista e costruire il consenso attorno la verità riguardante valori
od obiettivi particolari. E’ proprio della natura delle religioni,
liberamente praticate, il fatto che possano autonomamente condurre
un dialogo di pensiero e di vita. Se anche a tale livello la sfera religiosa
è tenuta separata dall’azione politica, grandi benefici ne provengono
per gli individui e per le comunità. D’altro canto, le Nazioni Unite
possono contare sui risultati del dialogo fra religioni e trarre frutto
dalla disponibilità dei credenti a porre le proprie esperienze a
sevizio del bene comune”.
Durante l’ultimo Angelus Papa Bergoglio ha rivolto il pensiero alle 117
vittime che hanno perso la vita nel naufragio nel Mar Mediterraneo
pregando per loro e soprattutto per coloro che hanno l’enorme
responsabilità civile di quello che è successo. In qualità di capi
spirituali della religione che rappresentano, entrambi i pastori non
sono mai andati né tantomeno andranno oltre le parole che saranno
costretti a professare, il tedesco, per cause di forza maggiore,
tutt’ora inspiegabili da un punto di vista ecumenico, mentre l’argentino,
l’unico che potrebbe far davvero sentire tuonare la sua voce, per paura di
essere nel mirino di qualcuno, forse. Perché però, invece di lanciare ufficialmente
la piattaforma della Rete Mondiale della Preghiera invitando i fedeli a
scaricare l’app “Click to Pray” – che potrebbe anche essere (senza
alcun dubbio) uno strumento efficace per diffondere la fede ai giorni
nostri – l’attuale pontefice non compie un vero atto politico
rivoluzionario firmando accordi con l’ONU per cercare di far pagare
in termini economici le responsabilità disumane che gravano sui
governi degli Stati membri che hanno favorito questa immane
tragedia, che a forza di ripetersi non fa altro che generare
assuefazione? Perché il pontificato di Papa Luciani durò soltanto 33
giorni? Perché la parola responsabilità si è completamente svuotata
del suo valore semantico? Che Papa Francesco lo abbiano eletto
perché la Santa Sede sta vivendo la sua più grande crisi esistenziale
da quando fu istituita non è un mistero, tant’è che la popolarità dovuta
al suo coinvolgente nonché schietto modo di esprimersi è fondata
proprio su questo, vale a dire sul marketing dell’immagine del
pontefice che con il suo comportamento, affabile e premuroso, ha
conquistato la stragrande maggioranza dei fedeli, e con ogni
probabilità, ad oggi, resta ancora uno dei rari capi in grado di
relazionarsi con gli altri che rappresentano gli Stati laici riuscendo
a far ascoltare le ragioni del Verbo, ma che, considerato il ruolo che
ricopre, non sia in grado di intervenire politicamente in via ufficiale,
non giustifica né del resto potrebbe esaltare il suo operato,
orientando perciò l’intero popolo di non credenti (che in termini
numerici surclassano di gran lunga i fedeli) alla convinzione che la
responsabilità di quel che sta avvenendo oggi nel mondo sia univoca
e al tempo stesso personale, ovvero che sia di tutti così come
anche di nessuno.