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L’oro e noi

“L’OSSERVATORE SPIATO”
RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

L’oro e noi

#Iostoconchinoncista – e il seguente e relativo commento
“nel continuare a subire lo stillicidio imposto da sedicenti democrazie”
potrebbe essere un hashtag lanciato da qualche giovane leone da
tastiera (per usare un’espressione cara a dei noti personaggi)
sconosciuto, che nel cercare di attrarre quanti più lettori possibili
sul suo blog, sito, o profilo social, si dimentica per un breve istante
(di “intuizione creativa”, che lo spingerebbe oltretutto a riflettere
su ciò che pubblica) del suo ruolo, del ruolo che ricopre nella società
del mondo reale, per potersi dedicare a ciò che più gli sta a cuore :
ovvero, dire la sua su ogni argomento a prescindere dall’essere o
meno documentato. Se però il fenomeno del comunicare attraverso
i social media sull’onda incontenibile della condivisione è comunque
diventato un fenomeno inarrestabile – tant’è che esistono delle dirette
Facebook perfino a livello istituzionale – perché una buona parte della
classe elitaria che si occupa di comunicazione dovrebbe sottovalutare
questi giovani leoni da tastiera invitandoli al confronto?
Intanto occorre dire che il confronto – quello riservato a temi di
pubblica utilità – oggi come oggi cessa di essere tale nel momento in
cui qualcuno assiste alla discussione, inutile dire che sembrerà pure
assurda questa cosa, ma invece è così non perché tutto dipenderebbe
in fondo dalle competenze, da i ruoli e dunque dalle condizioni
“imposte” da i protagonisti del confronto, i quali, sapendo di dover in
ogni caso dimostrare qualcosa ed essendo consapevoli chi di fare una
bella figura e chi di farne una pessima (infischiandosene) sarebbero
prima o poi costretti a mentire, ma perché gli astanti, spettatori o
comunque li si voglia chiamare, nella maggior parte dei casi hanno
sfortunatamente già fin troppi problemi da gestire per dover anche
simulare un ascolto attivo, degno di un confronto che inviti alla
partecipazione (a meno che non si tratti di qualcosa che li tocchi
personalmente, sia chiaro). Per rispondere alla domanda invece è
necessario dire che quella buona parte della classe elitaria che si
occupa di comunicazione, avendo paura di perdere i consensi ottenuti,
lanciano l’invito di un confronto pubblico con questi giovani leoni da
tastiera perché sono convinti del fatto di poter fare una bella figura.
Provocazione, bufala? Macchè, nulla di tutto questo. Pretesto invece
per dire che entrambe le categorie (quelle dei giovani leoni da tastiera
e quelli che appartengono alla classe elitaria più volte menzionata)
sono state e continuano ad essere oggetto di manipolazione, questo si,
forse senza saperlo – nel primo caso – mentre nel secondo oltre alla
consapevolezza potrebbe anche esserci una certa complicità.
Secondo alcune ricerche statunitensi basate su studi scientifici molto
approfonditi, l’uso compulsivo dei social media creerebbe dipendenza
inducendo l’utente a comportarsi quasi come un consumatore seriale
di sostanze stupefacenti in crisi d’astinenza quando per una qualsiasi
ragione non riuscisse ad interagire. Se questo fosse vero la maggior
parte degli utenti social avrebbe già perso le proprie facoltà cognitive
sia per comprendere dei contenuti testuali di un certo genere che per
formulare un proprio pensiero a proposito di un qualsiasi argomento
(nel senso che seguirebbe quello che i suoi istinti primordiali gli
suggerirebbero di seguire schierandosi da una parte piuttosto che
da un’altra riguardo a delle tematiche anche piuttosto rilevanti) –
il solo fatto di dare retta a delle frasi oppure a delle espressioni
coniate da degli algoritmi creati apposta per tenere sotto controllo
le preferenze degli stessi utenti non potrebbe che confermarlo.
Se però invece fosse falso? Supponiamo che questa notizia fosse
stata divulgata deliberatamente al solo scopo di mistificare l’operato
delle grandi piattaforme social e chi la divulgasse non abbia di fatto
concesso i propri dati personali per registrare il suo account come
qualsiasi altro utente : che cosa ci guadagnerebbe nel divulgarla, ma
soprattutto quanto guadagnerebbero in meno quelle piattaforme
rispetto ai loro faraonici standard di fatturato annuo?
L’uso compulsivo dei social media da parte di noi tutti purtroppo –
in prima persona di chi ne fa uso per pubblicizzare i propri contenuti
testuali – ha paradossalmente peggiorato il nostro consueto modo di
comunicare, non tanto perché i contatti e le interazioni sono diminuite
(anzi, è proprio perché sono aumentate in modo esponenziale che
facciamo ormai fatica a riconoscere l’altrui validità, specie se non si
interfaccia attraverso i social media) quanto per una progressiva
perdita di stimoli sensoriali che ci inducono a discriminare troppi
pochi aspetti del comportamento umano. Senza contare che ormai
la lingua italiana sta perdendo parte del suo immenso patrimonio
culturale a favore di quei linguaggi usati, o meglio, abusati da i più
(scusate la ripetizione) più che altro per dire o sentenziare le
correnti scemenze che circolano in Rete. Dunque, che fare?
Limitare l’uso dei social media continuando però ad usufruire
dell’enorme opportunità che quelle piattaforme hanno saputo offrirci,
oppure iniziare ad attuare una forma di depistaggio – alquanto vetusta
forse – cliccando sulle preferenze che sono diametralmente opposte
al nostro modo di pensare e di agire?