“L’OSSERVATORE SPIATO”
RIVISTA OCCASIONALE IN RETE
IL RITORNO DEI NUOVI BARBARI
Che cosa ha a che vedere la definizione che il Financial Times ha
coniato a proposito dell’imminente insediamento di un governo
gialloverde a Palazzo Chigi (i nuovi barbari) con l’analisi del seguente
articolo, è un’interpretazione che esula il lettore da qualsiasi ipotesi
sovranista in merito alle speranze dell’esecutivo.
La spettacolarizzazione di una particolare categoria di merce, mirata
a generare tanti nuovi speculatori quanti nuovi modi di esprimersi,
formando così un esercito di bipedi esibizionisti che non fanno altro
che continuare a causare un imbarbarimento sia verbale che scritto
del linguaggio contemporaneo fomentando oltretutto delle avversioni
nei loro confronti già soltanto per il fatto che ci mettono sempre la
faccia nel mostrare cotanta smania di apparire, non dovrebbe favorire
il ritorno degli iconoclasti, e se si, per quale ragione questi ultimi
disprezzerebbero le immagini, i costumi, insomma le opinioni acquisite
di una società che a quanto sembra pare proprio che non si ponga dei
limiti in fatto di decenza tra l’essere e l’apparire, se non perchè
vorrebbero in qualche modo che diventassero loro i protagonisti di
un improbabile scenario? Essendo di parte – ovvero lanciando una
provocazione, ma al tempo stesso limitandomi all’ascolto di persone
che trattano l’argomento senza però interagire – non intenderei
comunque esimermi dal confronto con qualcuno che dovesse
strumentalizzare le mie parole. Non rispondere a una provocazione
non significa evitare un confronto per paura magari di perdere l’auto
controllo compromettendo la propria reputazione passando pure dalla
parte del torto, vuol dire piuttosto avere la consapevolezza di
comprendere i limiti dell’interlocutore, dimostrando il contrario di
quanto lo stesso interlocutore avrebbe voluto dimostrare con una
risposta istantanea degna della più ponderata delle riflessioni.
Un esempio che potesse indicativamente chiarire il concetto potrebbe
essere questo : nel bel mezzo di un concilio ecumenico tenutosi in
Vaticano per discutere su temi economici relativi ai noti e gravi
fatti di corruzione e di peculato che imperversano nel nostro Paese,
un Cardinale, già Vescovo di una diocesi molto importante, prendendo
la parola inizia a sciorinare la sua moralità, definendo inaccettabile
il modus operandi dei politici accusati di tali reati arrivando perfino a
fare una proposta nella revisione dei Patti Lateranensi per cercare
quanto meno di partecipare – non soltanto in modo simbolico – alla
lotta contro l’evasione fiscale contribuendo ad incrementare il
gettito tramite oboli periodici – stimolando al tempo stesso
l’intervento di un Vescovo, meno noto, Vicario di un altro Cardinale.
Dal canto suo il Vicario, oltre a dissentire in toto circa la proposta del
Cardinale, gli chiede come dovrebbe comportarsi la Chiesa qualora le
istituzioni laiche optassero paradossalmente per la cancellazione dei
Patti Lateranensi (a condizione però che lo Stato Vaticano venga
annesso al nostro) evocando, a suo modo di vedere, l’ordine dell’allora
Imperatore di Costantinopoli, che decise di far distruggere tutte le
immagini sacre relative alla Chiesa all’unico scopo di frenare il culto
eccessivo da parte delle masse per la Chiesa stessa.
Quindi il Cardinale, a sua volta stimolato dalla citazione del Vicario,
coglie l’occasione per ricordare a tutti i presenti che fu proprio
grazie all’invettiva di Papa Gregorio secondo, che fu così costretto a
mettersi contro l’Imperatore di Costantinopoli facendogli perdere nel
conflitto quasi tutte le province italiane, che la Chiesa si salvò, e che
pertanto – considerata quella citazione sia inutile che fuorviante –
insiste imperterrito nella sua proposta (riferendosi al Vicario) :
“… è evidente che non vuole che passi questa iniziativa, sarebbe uno
smacco ridondante per chi è abituato soltanto a predicare bene,
sarebbe un’onta troppo (pronunciato in tono ieratico) … unta … per
essere lavata via …”. Arrivati perciò al dunque il Vicario risponde :
“ … continuo a ribadire, e mai mi stancherò di ripeterlo, che chi si fa
promotore di soluzioni che danneggiano la propria comunità di
appartenenza lo fa esclusivamente per tornaconto personale, non di
certo per solidarietà nei confronti di individui che sono ancora più
corrotti di quelli che si trovano qui ora, sia da un punto di vista etico
che morale. A chi gioverebbe infatti, ora come ora, avanzare simili
proposte se non a qualcuno pronto a dar vita ad analoghe discussioni
in Senato piuttosto che alla Camera dei Deputati invece che qui, senza
più i paramenti necessari che tutt’ora indossa? ”.
La responsabilità delle parole del Vicario, che non era il solo ad essere
informato del nuovo percorso intrapreso dal Cardinale (lo sapevano
tutti) ma che comunque è stato l’unico ad avere il coraggio di dirlo
pubblicamente, è connessa alla questione dell’iconoclastia non solo per
aver evocato gli spettri delle vittime causate dalle guerre fatte in
nome di quella dottrina, ma anche perché – affermando in un concilio
una verità così scomoda – è riuscito a dimostrare l’esatto opposto di
quanto avrebbe voluto dimostrare il Cardinale moralista, ricordando,
specie a quei soggetti simili al Cardinale, che quella corrente oggi
sarebbe ancora una volta paradossalmente utile per cercare di
iniziare un profondo percorso di cambiamento politico.
L’anticonformismo insito nell’iconoclastia (intesa come corrente, non
come dottrina) è un atteggiamento tipico di chi non tollera le regole
ingiuste, i diktat dettati da un consumo sfrenato di beni superflui,
ma che non per questo tende a condizionare chi è solito smascherare
pseudo difensori morali : se in un futuro neanche poi troppo lontano
la Chiesa dovesse ufficialmente entrare in politica non ci sarebbe di
che stupirsi, anche perché quelli che pensano che c’è sempre stata
sono sempre stati rappresentati da chi ha continuato, nei secoli,
a dimostrare come la connivenza abbia giocato e giochi tutt’ora un
ruolo determinante nelle gerarchie, specie poi quando arriva il
fatidico momento dell’elezione di un capo.
Qualora dunque gli iconoclasti diventassero i protagonisti di un
improbabile scenario – riformando radicalmente il sistema delle
comunicazioni, per esempio – realizzerebbero qualcosa di concreto
nel cambiamento, ma soprattutto sarebbero in grado di mantenerlo?
Intanto bisognerebbe capire quante persone sarebbero disposte a
schierarsi a favore di una corrente così radicale da arrivare a indire
un referendum per abrogare le trasmissioni di spettacoli video
inquinanti – che guarda caso hanno cominciato a diffondersi in tv
a partire più o meno dalla provvidenziale discesa in campo di un
pluri pregiudicato condizionando la vita di troppi suoi simili (tant’è che
di recente un’anziana signora ha devoluto una cospicua somma di
denaro in suo favore, e pensare che un tempo quei soldi li avrebbero
destinati proprio alla Chiesa!) – poi, una volta ottenuto il consenso e
pianificato i punti programmatici per stanziare i fondi pubblici indicati
per finanziare le associazioni culturali preposte ad orientare le
masse per un drastico cambiamento, salterebbe magari fuori che
mancano le coperture necessarie per affrontare simili spese (perché
chiaramente ci sarebbero altre priorità) e che quindi – considerate le
emergenze che giorno dopo giorno incombono nel complesso mondo in
cui siamo costretti a vivere – anche se qualcosa fosse stato fatto,
il vero cambiamento non si sarebbe visto, a prescindere dai contratti.
E la ragione principale del “non averlo visto” sarebbe dovuta in questo
caso ancora alla connivenza, di tutt’altro genere è vero, ma sempre
e comunque complementare a una condizione di sudditanza cercata e
voluta in un certo senso proprio dagli iconoclasti, che non avrebbero
saputo imporsi e imporre le regole per far funzionare a modo una
società : si pensi soltanto alla dichiarazione del portavoce del governo
israeliano (una giovane donna) che intervistata in questi giorni in
merito alla strage dei palestinesi avvenuta nella striscia di Gaza ha
detto che lo Stato mica poteva mettere tutta quella gente in galera;
una dichiarazione aberrante, degna del più convinto dei gerarchi
nazisti, ma che è potuta emergere grazie alla totale assenza di
intervento da parte degli iconoclasti. “Facile prendere un fatto di
cronaca, accostarlo alla dichiarazione di un funzionario pubblico,
che magari è stata costretta a dire così per sdrammatizzare in
qualche modo la tensione, e avvalorare una tesi nella speranza di
venire ascoltato nonostante sappia che lo stralcio di una qualsiasi
dichiarazione estrapolata da un qualsiasi contesto vale come il due
di picche nel gioco delle carte” direbbe subito qualcuno pronto a
smentire ancor prima di ascoltare una tesi. Ancora più facile però
è prendere le difese di ladri e di assassini : sia perché si contribuisce
al loro indiscusso dominio e sia perché – sapendo oltretutto che
l’interessata (il portavoce del governo israeliano) non sapeva ancora
nemmeno quante fossero le vittime – si abitua la memoria del lettore/
spettatore a credere alla menzogna.
All’indomani della commemorazione del ventiseiesimo anniversario di
una delle vittime più illustri della lotta contro lo strapotere criminale
è doveroso ricordarlo.