Querelante & querelato
11 Maggio 2018
Responsabilità a priori, anzi, ai boss
28 Maggio 2018
Show all

Il ritorno dei nuovi barbari

“L’OSSERVATORE SPIATO”

RIVISTA OCCASIONALE IN RETE

 

 

IL RITORNO DEI NUOVI BARBARI

 

 

Che cosa ha a che vedere la definizione che il Financial Times ha

coniato a proposito dell’imminente insediamento di un governo

gialloverde a Palazzo Chigi (i nuovi barbari) con l’analisi del seguente

articolo, è un’interpretazione che esula il lettore da qualsiasi ipotesi

sovranista in merito alle speranze dell’esecutivo.

La spettacolarizzazione di una particolare categoria di merce, mirata

a generare tanti nuovi speculatori quanti nuovi modi di esprimersi,

formando così un esercito di bipedi esibizionisti che non fanno altro

che continuare a causare un imbarbarimento sia verbale che scritto

del linguaggio contemporaneo fomentando oltretutto delle avversioni

nei loro confronti già soltanto per il fatto che ci mettono sempre la

faccia nel mostrare cotanta smania di apparire, non dovrebbe favorire

il ritorno degli iconoclasti, e se si, per quale ragione questi ultimi

disprezzerebbero le immagini, i costumi, insomma le opinioni acquisite

di una società che a quanto sembra pare proprio che non si ponga dei

limiti in fatto di decenza tra l’essere e l’apparire, se non perchè

vorrebbero in qualche modo che diventassero loro i protagonisti di

un improbabile scenario? Essendo di parte – ovvero lanciando una

provocazione, ma al tempo stesso limitandomi all’ascolto di persone

che trattano l’argomento senza però interagire – non intenderei

comunque esimermi dal confronto con qualcuno che dovesse

strumentalizzare le mie parole. Non rispondere a una provocazione

non significa evitare un confronto per paura magari di perdere l’auto

controllo compromettendo la propria reputazione passando pure dalla

parte del torto, vuol dire piuttosto avere la consapevolezza di

comprendere i limiti dell’interlocutore, dimostrando il contrario di

quanto lo stesso interlocutore avrebbe voluto dimostrare con una

risposta istantanea degna della più ponderata delle riflessioni.

Un esempio che potesse indicativamente chiarire il concetto potrebbe

essere questo : nel bel mezzo di un concilio ecumenico tenutosi in

Vaticano per discutere su temi economici relativi ai noti e gravi

fatti di corruzione e di peculato che imperversano nel nostro Paese,

un Cardinale, già Vescovo di una diocesi molto importante, prendendo

la parola inizia a sciorinare la sua moralità, definendo inaccettabile

il modus operandi dei politici accusati di tali reati arrivando perfino a

fare una proposta nella revisione dei Patti Lateranensi per cercare

quanto meno di partecipare – non soltanto in modo simbolico – alla

lotta contro l’evasione fiscale contribuendo ad incrementare il

gettito tramite oboli periodici – stimolando al tempo stesso

l’intervento di un Vescovo, meno noto, Vicario di un altro Cardinale.

Dal canto suo il Vicario, oltre a dissentire in toto circa la proposta del

Cardinale, gli chiede come dovrebbe comportarsi la Chiesa qualora le

istituzioni laiche optassero paradossalmente per la cancellazione dei

Patti Lateranensi (a condizione però che lo Stato Vaticano venga

annesso al nostro) evocando, a suo modo di vedere, l’ordine dell’allora

Imperatore di Costantinopoli, che decise di far distruggere tutte le

immagini sacre relative alla Chiesa all’unico scopo di frenare il culto

eccessivo da parte delle masse per la Chiesa stessa.

Quindi il Cardinale, a sua volta stimolato dalla citazione del Vicario,

coglie l’occasione per ricordare a tutti i presenti che fu proprio

grazie all’invettiva di Papa Gregorio secondo, che fu così costretto a

mettersi contro l’Imperatore di Costantinopoli facendogli perdere nel

conflitto quasi tutte le  province italiane, che la Chiesa si salvò, e che

pertanto – considerata quella citazione sia inutile che fuorviante –

insiste imperterrito nella sua proposta (riferendosi al Vicario) :

“… è evidente che non vuole che passi questa iniziativa, sarebbe uno

smacco ridondante per chi è abituato soltanto a predicare bene,

sarebbe un’onta troppo (pronunciato in tono ieratico) … unta … per

essere lavata via …”. Arrivati perciò al dunque il Vicario risponde :

“ … continuo a ribadire, e mai mi stancherò di ripeterlo, che chi si fa

promotore di soluzioni che danneggiano la propria comunità di

appartenenza lo fa esclusivamente per tornaconto personale, non di

certo per solidarietà nei confronti di individui che sono ancora più

corrotti di quelli che si trovano qui ora, sia da un punto di vista etico

che morale. A chi gioverebbe infatti, ora come ora, avanzare simili

proposte se non a qualcuno pronto a dar vita ad analoghe discussioni

in Senato piuttosto che alla Camera dei Deputati invece che qui, senza

più i paramenti necessari che tutt’ora indossa? ”.

La responsabilità delle parole del Vicario, che non era il solo ad essere

informato del nuovo percorso intrapreso dal Cardinale (lo sapevano

tutti) ma che comunque è stato l’unico ad avere il coraggio di dirlo

pubblicamente, è connessa alla questione dell’iconoclastia non solo per

aver evocato gli spettri delle vittime causate dalle guerre fatte in

nome di quella dottrina, ma anche perché – affermando in un concilio

una verità così scomoda – è riuscito a dimostrare l’esatto opposto di

quanto avrebbe voluto dimostrare il Cardinale moralista, ricordando,

specie a quei soggetti simili al Cardinale, che quella corrente oggi

sarebbe ancora una volta paradossalmente utile per cercare di

iniziare un profondo percorso di cambiamento politico.

L’anticonformismo insito nell’iconoclastia (intesa come corrente, non

come dottrina) è un atteggiamento tipico di chi non tollera le regole

ingiuste, i diktat dettati da un consumo sfrenato di beni superflui,

ma che non per questo tende a condizionare chi è solito smascherare

pseudo difensori morali : se in un futuro neanche poi troppo lontano

la Chiesa dovesse ufficialmente entrare in politica non ci sarebbe di

che stupirsi, anche perché quelli che pensano che c’è sempre stata

sono sempre stati rappresentati da chi ha continuato, nei secoli,

a dimostrare come la connivenza abbia giocato e giochi tutt’ora un

ruolo determinante nelle gerarchie, specie poi quando arriva il

fatidico momento dell’elezione di un capo.

Qualora dunque gli iconoclasti diventassero i protagonisti di un

improbabile scenario – riformando radicalmente il sistema delle

comunicazioni, per esempio – realizzerebbero qualcosa di concreto

nel cambiamento, ma soprattutto sarebbero in grado di mantenerlo?

Intanto bisognerebbe capire quante persone sarebbero disposte a

schierarsi a favore di una corrente così radicale da arrivare a indire

un referendum per abrogare le trasmissioni di spettacoli video

inquinanti – che guarda caso hanno cominciato a diffondersi in tv

a partire più o meno dalla provvidenziale discesa in campo di un

pluri pregiudicato condizionando la vita di troppi suoi simili (tant’è che

di recente un’anziana signora ha devoluto una cospicua somma di

denaro in suo favore, e pensare che un tempo quei soldi li avrebbero

destinati proprio alla Chiesa!) – poi, una volta ottenuto il consenso e

pianificato i punti programmatici per stanziare i fondi pubblici indicati

per finanziare le associazioni culturali preposte ad orientare le

masse per un drastico cambiamento, salterebbe magari fuori che

mancano le coperture necessarie per affrontare simili spese (perché

chiaramente ci sarebbero altre priorità) e che quindi – considerate le

emergenze che giorno dopo giorno incombono nel complesso mondo in

cui siamo costretti a vivere – anche se qualcosa fosse stato fatto,

il vero cambiamento non si sarebbe visto, a prescindere dai contratti.

E la ragione principale del “non averlo visto” sarebbe dovuta in questo

caso ancora alla connivenza, di tutt’altro genere è vero, ma sempre

e comunque complementare a una condizione di sudditanza cercata e

voluta in un certo senso proprio dagli iconoclasti, che non avrebbero

saputo imporsi e imporre le regole per far funzionare a modo una

società : si pensi soltanto alla dichiarazione del portavoce del governo

israeliano (una giovane donna) che intervistata in questi giorni in

merito alla strage dei palestinesi avvenuta nella striscia di Gaza ha

detto che lo Stato mica poteva mettere tutta quella gente in galera;

una dichiarazione aberrante, degna del più convinto dei gerarchi

nazisti, ma che è potuta emergere grazie alla totale assenza di

intervento da parte degli iconoclasti. “Facile prendere un fatto di

cronaca, accostarlo alla dichiarazione di un funzionario pubblico,

che magari è stata costretta a dire così per sdrammatizzare in

qualche modo la tensione, e avvalorare una tesi nella speranza di

venire ascoltato nonostante sappia che lo stralcio di una qualsiasi

dichiarazione estrapolata da un qualsiasi contesto vale come il due

di picche nel gioco delle carte” direbbe subito qualcuno pronto a

smentire ancor prima di ascoltare una tesi. Ancora più facile però

è prendere le difese di ladri e di assassini : sia perché si contribuisce

al loro indiscusso dominio e sia perché – sapendo oltretutto che

l’interessata (il portavoce del governo israeliano) non sapeva ancora

nemmeno quante fossero le vittime – si abitua la memoria del lettore/

spettatore a credere alla menzogna.

All’indomani della commemorazione del ventiseiesimo anniversario di

una delle vittime più illustri della lotta contro lo strapotere criminale

è doveroso ricordarlo.