Rivista occasionale in Rete
A cura di un aspirante anonimo
I Passione e utopia sono le parole fondanti che continuano a creare e a curare ogni aspetto legato a quella responsabilità di edizione priva di qualsiasi genere di servilismo : ricordare che l'attuale scenario politico e socioeconomico di questo paese sia ormai (finalmente!) diventato una sorta di paradiso terrestre - per usare un eufemismo - non può che esserne un esempio lampante, così come del resto è altrettanto doveroso ricordare che in ogni editoriale che si rispetti - a prescindere dal fatto che tocchi temi quali la corruzione, la malasanità e via discorrendo - mai debba mancare quella giusta dose di ironia che riesce a sintetizzare l'argomento trattato fotografando lo scandalo di turno senza dover per forza fare scorrere fiumi (non che affluenti) di parole inutili per scrivere la cronaca quotidiana. Giornalisti, cineasti, politici addirittura, insomma tutti coloro che facendo il loro lavoro in modo esemplare sono costretti a ironizzare e che inevitabilmente si scontrano con dei colleghi mediocri e soprattutto invidiosi (dei millantatori che conoscono così poco la loro stessa materia che a malapena riuscirebbero a risultare convincenti in un confronto pubblico se non fosse per l'intervento dei mediatori, o conduttori) sono talmente abituati al ruolo che ricoprono i mediatori che a volte dimenticano di segnalare i loro abusi. La figura del mediatore oggi è fondamentale per cercare di capire come si sta evolvendo il mondo della comunicazione, si pensi soltanto a una parola come responsabilità : il togliere la parola a qualcuno che sta dicendo delle cose che servono a questo paese per darla a qualcun altro, che magari quelle cose le dice anche, ma solo per il proprio tornaconto, non può che favorire il proliferarsi di tali figure, è evidente. Questa rivista - che come scopo principale si propone di segnalare simili anomalie oltre che naturalmente focalizzare l'attenzione su ciò che non va e che mai andrebbe omesso, fermo restando che se è rimasta ancora in vita è perchè non si è mai cimentata nel giornalismo d'inchiesta - nasce ufficialmente in Rete il 25 aprile del 2016, vale a dire in un epoca dove le post verità (o fake news, chiamatele come volete) iniziavano a circolare. Un debutto "incoraggiante", ma che forse proprio per questo ha ragione di esistere. ll Teatro delle Porte nasce invece da un'esigenza originariamente vana e contraddittoria, se si pensa a come questa esigenza non abbia saputo imporsi nel mondo reale della rappresentazione.
Vana, perchè gli inutili sforzi di sottoporre un progetto così utopistico all'attenzione dei vari critici o direttori artistici genera tra gli autori, non in tutti, quella rara consapevolezza di illusione che nessun'altra utopia è in grado di infondere.
Contraddittoria perchè immaginare di rappresentare delle opere teatrali in uno spazio virtuale come quello della Rete può indurre gli stessi autori a un disincanto incondizionato.
Q uesto andava detto per inciso, a dispetto di quei freni inibitori che, secondo la logica e il buon senso, qualcuno dovrebbe usare sempre quando vuole suscitare una certa impressione non appena gli si presenta l'occasione di farlo pubblicamente.
La ragione sociale - passatemi il termine decisamente inappropriato al tentativo di descrivere la vastità di un microcosmo come questo nella sua delicata fase di espansione, ma perfettamente allusivo alla condizione che l'attuale sistema tecnologico industriale ci impone relegando la comune esistenza a un vero e proprio non luogo, costruito sulla base di esigenze considerate ordinarie per il semplice fatto che lo straordinario è ormai diventato il vivere in un luogo reale con la persona amata senza aver bisogno di interagire virtualmente - la ragione sociale del Teatro delle Porte dunque, è quella di dare vita a un sito trasversale, popolato dalle opere di diversi autori contemporanei, indipendenti, e uniti da un unico scopo fondante: cercare di attuare una metamorfosi radicale nel tessuto connettivo della comunicatività.
V ero è che il semplice fatto di rendere pubblica un'affermazione del genere non potrebbe non essere vista come una tipica velleità donchisciottesca ed essere presa come oggetto di sberleffo da chiunque
specie da quelli che come me assumono atteggiamenti ostili perfino al loro consueto modo di pensare e che invece di tenersi dentro certe cose preferiscono per esempio deridere e umiliare qualcuno che per fare una certa impressione al lettore si nasconde dietro comuni eteronimi, ma è altrettanto vero che un qualunque utente di un qualsiasi social network, pienamente consapevole del fatto che la sola adesione a un social comporta una parziale, se non totale, nella maggior parte dei casi, perdita del sacrosanto diritto di poter ancora avere una vita privata decente, potrebbe diventare il potenziale detrattore di un sistema comunicativo così imperante.
“Lo stesso sistema che paradossalmente usa questa folta schiera di pseudo autori” qualcuno potrebbe a ragion veduta obiettare, ma chi è così ignorante da non sapere che i sistemi cambiano a seconda delle esigenze che progressivamente determinano le nostre abitudini?
Perchè dovrebbe essere obbligatorio fornire i propri dati personali a un gestore di tale sistema (e avere l'opportunità di accedere ai servizi che offre) senza poter garantirsi un reale anonimato? Per quale altra oscura ragione, se non quella di spiare e controllare le nostre vite come se fossimo carne da macello e fossero costretti a etichettare la nostra provenienza, questi controllori dell'inconscio si permettono di non comparire mai in Rete con il loro nome e cognome registrato all'anagrafe?
Perchè è così importante l'evocazione reiterata di simili banalità in un sistema decisamente orientato a irridere con ogni mezzo chi le sostiene divulgandole? Quanto conta, nel data base del gestore di un sistema di controllo, la memoria di una persona capace di evitare di farsi omologare rispetto alla memoria di una persona completamente assuefatta all'omologazione?
A che cosa serve dire che gli ideologismi sono obsoleti e pericolosi - pericolosi perché l'ideologismo considerato nel suo significato più puro è ormai ritenuto un sinonimo di fondamentalismo, di chiaro stampo eversivo, e pertanto incline a inculcare azioni deplorevoli - quando a dirlo è gente che pensa all'ideologia come a una religione, vale a dire come a un'istituzione che ha causato più vittime di una pandemia e che non è passata mai di moda?
A che cosa serve dire che il boicottaggio di prodotti tecnologici di nuova generazione può indurre la maggioranza dei consumatori a decidere di non acquistare oggetti inerenti per esempio alla realtà aumentata, quando è lo stesso consumatore che lo dice e che ne fruisce più degli altri perchè magari è costretto a farlo a causa della sua professione che lo”obbliga” a servirsene?
A che cosa serve la realtà aumentata? Non bastava sapere che mentre si passeggia ognuno di noi ha da sempre avvertito quell'irrefrenabile impulso che ci porta indiscriminatamente a voler essere informati in ogni momento circa la costante presenza aliena? Qual è il significato di tutto questo, sperare che i posteri emettano una sentenza congrua a una domanda così ardua, o augurarsi quanto meno che non assumano atteggiamenti “alienanti”?
Qual è il reale confine che esiste tra il serio e il faceto, e perchè di questi tempi la satira non causa più lo stesso effetto dirompente che causava tempo fa, quando il soggetto preso di mira non si vedeva più da nessuna parte per un bel pezzo mentre invece ora gli fanno occupare spazi mediatici rilevanti perchè è diventato “un'icona” popolare?
Chi può dire oggi come oggi - chi nel senso lato del termine, che va da chi ha scelto di esporsi all'attuale circo mediatico a chi ne fa parte senza averlo scelto per un'esigenza particolare - di non sentirsi un'icona? Che cosa vuol dire icona? Che cosa vuol dire significato?