I l Teatro delle Porte include un'antologia di sedici opere, scritte da due autori inediti: Giorgio Delle Chiaie, un uomo, per dirla alla Camus, felice di riportare in cima il suo macigno ogni volta che rotola a valle, ma al tempo stesso un indomito cinquantenne in eterna rivolta con se stesso, sebbene l’identificazione con il mito di di Sisifo sia alquanto altalenante, e Sormani, un eterno trentenne dallo spirito dionisiaco, convertito alle ragioni dell’illusione da un insopprimibile quid onirico.
Il fil rouge che lega i due autori - che poi, come si vedrà in seguito, è il collegamento usato dagli stessi per dare una connotazione definitiva a ciò che si sono proposti di fare - risulta evidente sia nello stile che nell'ispirazione.
Lo stile è indubbiamente libero, prima di tutto, che non affonda certo le radici formative nelle migliori aule accademiche del mondo, ma che è comunque inconfondibile, in primo luogo perchè è uguale a quello di tutti gli altri proprio perchè è diverso, e in secondo perchè si avvale di una prosa non edulcorata, scevra da quelle spasmodiche ricerche che si fanno per limare i caratteri professionali del personaggio che si è appena dato alla luce, eccezion fatta per qualcuno beninteso, in una parola è - come ho appena detto - libero.
Nell'ispirazione invece, all'occhio attento del lettore non può non trasparire lo studio dei classici come una prosopopea fenomenologica: le cose prendono vita da chiare emulazioni cogitative, proprie di autori senza tempo che sanno rendere attuali cose dette secoli fa permeando ogni frase o battuta di questo o di quel personaggio così come un'indispensabile pioggia provvidenziale permea un terreno arido, che non è più in grado di offrire i suoi frutti alla collettività.
In sintesi, la parola chiave tra i due autori è connessione. La parola connessione implica una serie interminabile di significati ed è a tal proposito che, riallacciandomi a quanto detto prima, tenterò di chiarire alcuni aspetti legati ai loro propositi, senza tuttavia entrare nel merito del valore semantico (per altro noto a tutti) di un'intestazione come quella che hanno scelto di usare.
Il Teatro delle Porte, filologicamente parlando, potrebbe rientrare in quel genere di teatro dove un inserimento inaspettato e condiviso da una parte della critica letteraria è visto ancora come qualcosa di prematuramente indefinito, ma al tempo stesso capace di spostare, se pur di poco, l'asse di un ipotetico baricentro post surrealista: basti pensare a l'”Orfeo” di Cocteau per rendersi effettivamente conto di quanto l'”Orfeo” di Sormani saprebbe diversamente evocare la stessa eco mitica, senza per altro, almeno in questo caso, dover ricorrere a sotterfugi scenici. Concettualmente il Teatro delle Porte è un teatro onirico, dove il sogno è ricerca e introspezione, ma dove soprattutto è lo spettatore ad essere proiettato in un micro cosmo dove orbitano svariate forme di emozioni.
N ell’arco di quasi dieci anni Sormani deve aver mantenuto fede a un principio rigorosamente personale - quello cioè di considerare una buona parte delle sue composizioni semplice spazzatura - che probabilmente gli ha consentito di valorizzare non soltanto quella comune consapevolezza che permea ogni artista degno di tale definizione, ma anche di osservare con un’analisi maniacale il proprio operato.
D opo questa ampia sintesi dedicata all’analisi delle opere di Sormani è arrivato il momento di aprire la porta - è proprio il caso di dirlo - sull’universo artistico di Giorgio Delle Chiaie. Il teatro di Delle Chiaie si basa concettualmente su narrazioni avveniristiche, dove il futuro, forse per esorcizzare scenari apocalittici, per altro plausibili, o forse per tentare di stimolare nuove rappresentazioni, è visto sia come una minaccia che come un’opportunità.