L’era dell’H.H.S.
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Morra day

M0RRA DAY

(ovvero, il giorno in cui a una parola come morra, il cui significato è
noto soprattutto ai giocatori che la praticano, si è resa necessaria
un’interpretazione radicale, nel senso che si è dovuto prenderla come
la radice al contrario di altre due parole che hanno per desinenza,
sempre al contrario, una “ca” e l’altra “go” per renderla esplicita in
questo sottotitolo, ma che, per evitare una caduta di stile, si è voluto
apposta menzionare esclusivamente il popolare gioco)

Si parla troppo, è evidente. E’ vero che questa affermazione potrebbe
essere vista come una visione esasperata del giornalismo in generale,
ma è pur vero che si parla troppo. Lo dicono in molti.
Lo dice soprattutto la maggioranza di quelle persone che non hanno
raggiunto la notorietà, ma che sperano in qualche modo di rendersi
visibili o di far sentire la propria voce attraverso dei siti o dei blog
che meriterebbero una sana e doverosa epurazione già soltanto
perché trattano certi argomenti. E la cosa buffa è che in questo caso,
paradossalmente, sono io che rappresento quella maggioranza
proprio perché, come me, ci sono le stesse persone che io detesto
a pensarla allo stesso modo, soltanto che invece di ammetterlo
apertamente – magari interagendo – si preferisce rafforzare la
propria identità in Rete affidandosi al monologo, che in fondo è la
forma più efficace per un confronto degno di una certa onestà
intellettuale. Ironia a parte – e anche qui ci sarebbe da stendere un
velo pietoso sul fatto che quando si è capito finalmente che non si
può davvero proprio fare a meno di ironizzare, le battute che si
sprecano (sia che si parli di fronte a un pubblico numeroso, sia che si
usi in privato con degli amici o con dei familiari un tono sarcastico,
così come quelle che si fanno negli stessi articoli che si scrivono)
diventano quasi sempre scontate, tutte uguali, annoiando pure, in
taluni casi – si parla troppo. Eppure, se si interagisse, verrebbe meno
la visione appena menzionata, direbbe qualcuno. E come dargli torto?
E allora perché verrebbe meno la visione appena menzionata, perché
si parla troppo? E ancora, perché, se un personaggio pubblico si ostina
a ribadire principi sani e utili alla collettività per cercare di costruire
insieme la prima democrazia utopistica in questo Bel Paese, dalla
parte opposta si vede qualche altro personaggio pubblico che cede
alla tentazione di metterlo in ridicolo provocandolo e proponendosi
come suo sostituto? Che il successo possa dare alla testa è un dato
oggettivo – per altro condivisibile – ma ciò non giustifica la presa di
posizione di chi è invece abituato a contestare la fazione politica
avversa di chi rappresenta colui che si è voluto deliberatamente
provocare. Dunque, considerando che questo nostro Bel Paese è di
fatto ingovernabile per ragioni che non vale la pena nemmeno citare
talmente sono ovvie, la domanda è, o meglio, le domande sono :
perché, nonostante si conosca a fondo la situazione politica italiana,
si tende a provocare della gente che ha seriamente intenzione di
eliminare sia gli enti statali corrotti che il finanziamento pubblico
ai partiti? Come fa un personaggio pubblico ritenuto all’unanimità
(o quasi) un intellettuale, a non accorgersi che con questa sua presa
di posizione non ha fatto altro che indebolire la propria immagine?
Denunciando un sistema politico corrotto attraverso la narrazione
di un altro sistema (mafioso o camorristico, comunque tentacolare)
– equiparandolo – non significa illudere milioni di persone oneste e
ricattabili nella speranza che le Cose un giorno possano finalmente
cambiare, vuol dire piuttosto entrare di “diritto” nel gotha dei servi
milionari filo governativi che il sistema politico usa per propagandare
la propria strategia. In caso contrario, ovvero continuando con le
provocazioni gratuite per puro esibizionismo, non si farebbe altro che
contribuire a moltiplicare smisuratamente i partecipanti di questo
meraviglioso gioco popolare – con l’aggravante che i camorristi
potrebbero perfino pensare di trarne profitto.